Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


A Roma arrivano i sicari di mafia. Seguono Giovanni Falcone. Controllano tutti i suoi movimenti, si preparano ad ucciderlo. È un bersaglio facile.

Falcone passeggia per le strade della capitale senza poliziotti dietro, incontra amici, niente blindate, mitragliette, scorte. Poi, i mafiosi incaricati di ammazzarlo ricevono l’ordine di tornare in Sicilia. Giovanni Falcone deve morire ma non deve succedere a Roma, in un agguato con armi corte – pistole e fucili – dentro un delitto mafioso tradizionale.

Deve morire a Palermo con l’esplosivo, in un’azione terroristica. Nella dinamica che cambia si rintraccerà la matrice della strage, che non è solo mafiosa. Qualcuno indica ai boss il «modo» per farlo fuori. È una di quelle «convergenze di interessi» di cui Falcone ha parlato per anni sui delitti politici di Palermo. Adesso tocca a lui.

In Parlamento sono iniziate le votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. I primi candidati di bandiera sono già bruciati. Andreotti sembra fuori gioco. Sfiora il quorum il segretario della Dc Arnaldo Forlani. Racimola poco più di 200 voti l’ex presidente della Corte Costituzionale Giovanni Conso. L’Italia non ha ancora il suo presidente.

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