Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia e il cui numero cresce di anno in anno. Dal 1961 si contano circa 1031 vittime innocenti.

Nato il 20 agosto 1941 a Papanice, una frazione di Crotone, Francesco Borrelli a 18 anni decide di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri per poi diventare Maresciallo Capo del nucleo elicottero di Vibo Valentia, in Calabria.

Prima in Sardegna per seguire la piaga del banditismo sardo e poi nelle Marche, Francesco torna alla fine in Calabria per la sua famiglia e sposa Eugenia nel 1973. Un anno dopo, nel 1974, arriva il primo figlio Alfredo e l’anno successivo Caterina, la secondogenita.

I due fratelli crescono nella base militare dove il padre lavorava, fino a quando Alfredo non comincia a frequentare la scuola. Gli anni Settanta e Ottanta sono però anni difficili in Calabria, quelli dei sequestri di persona e l’Aspromomonte, una zona impervia dell’Appennino calabro, diventa il cuore di questo fenomeno, nonché la prigione delle persone rapite. Non essendoci grandi tecnologie all’epoca, l’elicottero era l’unico strumento che consentiva di controllare l’area dall’alto.

Nell’immagine di Alfredo bambino, Francesco non era solo un eroe - come un padre lo può essere per il figlio, ma la sua figura era avvalorata dal lavoro che svolgeva. Ogni elicottero in cielo, anche per l’Alfredo di oggi, rappresenta il padre.

Il 13 gennaio 1982 Francesco Borrelli non era in servizio e per questo esce di casa senza divisa.

Quel giorno, però, era stato pianificato un attentato di ‘Ndrangheta. Francesco si trovava nella piazza principale di Cutro, quando nota il boss Antonio Dragone seduto, mentre dalla parte opposta vede procedere a grande velocità un’auto con i finestrini abbassati da cui spuntavano delle canne di fucile. Forse per l’occhio allenato da uomo dell’arma, intuisce che qualcosa stesse per succedere.

Francesco Borrelli urla alle persone tutte attorno: «Buttatevi a terra, stanno era sparare». I killer dirigono dei colpi d’arma verso chi stava per sabotare il loro piano criminale e sparano una dozzina di colpi verso Francesco, uno di cui perfora l’aorta e ne causa la morte. Quando infatti arriva all’ospedale di Crotone è già troppo tardi.

Quel pomeriggio oltre a lui, un’altra vittima innocente di mafia perde la vita.

Ricordi di quel 13 gennaio

Il 13 gennaio 1982, Alfredo aveva 7 anni, la sorella Caterina 6 ed entrambi si trovavano a casa della zia. Mentre stavano guardando un telefilm sentono dei colpi, ma essendo da poco passato Capodanno, scambiano quei rumori per i botti dei festeggiamenti dei giorni precedenti. Alfredo ricorda il momento in cui scende dal portone di casa, era buio la gente attorno lo guardava. La notizia si era ormai diffusa in tutto il paese, per questo motivo i due fratelli vengono portati in una casa poco lontana dalla loro per essere protetti da possibili rischi.

Qualche giorno dopo la madre racconta che il padre Francesco non sarebbe mai più tornato e fa giurare ad Alfredo che non avrebbe mai indossato una divisa, perché non avrebbe sopportato di perdere oltre al marito anche il figlio.

Seguono i funerali di Stato, la visita di alcuni comandanti dell’arma e i regali dell’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. E nonostante Alfredo fosse ancora un bambino, aveva intuito cosa fosse successo al suo papà.

La madre Eugenia era all’epoca un insegnate in una scuola di Cutro.

Nel 1985 la famiglia si costituisce parte civile del processo avviato dopo la morte di Francesco Borrelli, che purtroppo però non porta ad alcun risultato. Vengono indagate due persone: il figlio e il nipote di queste erano alunni della madre. L’allora dirigente scolastico ha valutato se far trasferire Eugenia in un’altra sezione o darle addirittura un’aspettativa, ma lei si è rifiutata e ha continuato a svolgere il proprio lavoro. Dietro questa decisione c’è la consapevolezza che l’istruzione e la formazione sono gli unici strumenti validi per far crescere e rendere ogni individuo più libero e consapevole.

Alfredo, Caterina e la madre Eugenia hanno un rapporto strettissimo. La pietà altrui, la paura che qualcosa potesse accadere anche alle persone che vivevano tutt’attorno sono stati elementi che hanno contribuito a rafforzare il loro legame.

In memoria di un padre 

Alfredo, Caterina e Eugenia hanno avuto reazioni diverse alla morte di Francesco. La sorella fa fatica a parlarne, soprattutto in pubblico, perché per lei il dolore è ancora un ferita aperta. La madre Eugenia ha elaborato il lutto da un punto di vista cattolico, di fede. Alfredo, invece, attraverso l’impegno nel sociale e le persone che ha conosciuto tramite Libera, dal 2006-2007 porta la sua storia e quella di suo padre Francesco nelle scuole. L’assenza straziante per la mancanza di una figura paterna è stata sostituita dal grande orgoglio per il gesto di Francesco. Alfredo è convinto che con il ricordo e la testimonianza si possano informare e formare le coscienze.

Oggi Alfredo ha un figlio di 3 anni e mezzo, che porta lo stesso nome del nonno, Francesco. Nonostante sia ancora piccolo comincia a fare domande e a chiedere chi è la persona a fianco di Alfredo bambino ritratta nelle foto esposte nella camera da letto dei genitori. E così Alfredo ha iniziato a raccontare di un nonno dal viso buono, del suo grande impegno per la legalità, che guidava gli elicotteri e lottava contro i cattivi.

Convinto che la tessera di puzzle che Francesco Borrelli ha aggiunto nella lotta alla mafia sia molto più piccola rispetto a quella inserita da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sogna di una memoria più tangibile e calata nella vita di tutti i giorni. Una targa, una piazza dedicata alla memoria di suo padre potrebbero per lui aiutare a responsabilizzare e riflettere. E questo Alfredo lo sa bene, lui che per 5 anni ha preso il pullman per andare alla scuola di Crotone esattamente dove il padre è stato ucciso. Lì dove ancora oggi c’è solo una fermata.

[Per la realizzazione di questo articolo, si ringrazia Alfredo Borrelli]

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