Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla vicenda di Silvana Saguto, la giudice del Tribunale di Palermo che gestiva i beni sequestrati alla mafia finita al centro di un’indagine partita nel 2015 dalla procura di Caltanissetta. Nella condanna di primo grado i magistrati hanno accertato scambi di favori e di soldi tra la Saguto, avvocati e amministratori giudiziari.

Il materiale probatorio acquisito in dibattimento, avuto riguardo soprattutto alle conversazioni captate, nonché all'esame testimoniale di Scimeca, consente di giungere ad una sicura ricostruzione dei fatti di cui al capo di imputazione in esame. Segnatamente, sono gli esiti delle conversazioni intercettate e la testimonianza di Alessandro Scimeca a chiarire come siano veramente andate le vicende che qui interessano.

È pacifico in giudizio, in quanto ammesso dalla stessa Saguto, che la Cannizzo le aveva segnalato, per una sistemazione lavorativa, Richard Scammacca, nipote del suo amico Stefano Scammacca.

Richard Scammacca era già stato assunto nell'ambito di un'amministrazione giudiziaria (presso il Ristorante Parco dei Principi), ma tale amministrazione era in chiusura e, peraltro, lo Scammacca non aveva ricevuto lo stipendio in modo regolare. Allora la Cannizzo aveva chiesto all'amica Saguto un nuovo e più remunerativo impiego per lo Scammacca e, stavolta, aveva pure concordato con la Saguto la misura della retribuzione (2500 euro mensili).

La Saguto si era mostrata subito disponibile alla richiesta e ciò conferma ancora una volta l'uso distorto dell'ufficio da parte del magistrato, che si adopera, utilizzando la sua posizione di Presidente della Sezione Misure di Prevenzione, per trovare una collocazione lavorativa nell'ambito delle Amministrazioni Giudiziarie alle persone che le interessano, senza verificare la effettiva necessità di nuove assunzioni funzionali al buon andamento della gestione delle amministrazioni giudiziarie, e senza verificare la tipologia di mansioni necessarie o la disponibilità finanziaria dell'azienda in sequestro per attribuire una certa misura di retribuzione. Si comprende chiaramente, grazie agli esiti delle intercettazioni, quali fossero gli accordi tra la Saguto e la Cannizzo.

Da un lato, la Cannizzo, evidentemente legata da rapporti di amicizia con Stefano Scammacca, aveva interesse ad una sistemazione lavorativa di Richard Scammacca con una retribuzione elevata, dall'altro la Saguto, approfittando della conoscenza di Stefano Scamacca da parte della Cannizzo, voleva "avvicinare" Giuseppe Barone, consigliere del Cga, perché interessata alla definizione della causa di appello riguardante la parcella milionaria di Cappellano Seminara (da lei liquidata) e ciò, oltre che per favorire Cappellano Seminara, anche e soprattutto per il suo interesse personale, legato alla dazione dei soldi promessi da Cappellano Seminara dopo la riscossione della parcella.

Nell'intenzione della Saguto, quindi, assicurando una buona posizione lavorativa a Richard Scammacca prima della cena del 16 giugno, Stefano Scammacca avrebbe poi, per gratitudine, potuto intercedere con Giuseppe Barone per l'esito della controversia, che così tanta importanza aveva per Cappellano Seminata e, indirettamente, anche per la situazione finanziaria della famiglia Saguto/Caramma, che in quel momento era in crisi di liquidità.

L'obiettivo della Saguto - che, si ribadisce, è quello di ben disporre Stefano Scammacca, amico di lunga data del consigliere del Consiglio Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, Giuseppe Barone - è ben conosciuto e condiviso dalla Cannizzo, come dimostrato inequivocabilmente dalle conversazioni telefoniche sopra nel dettaglio riportate.

Ulteriore conferma di quale fosse stata la finalità della cena a palazzo Brunaccini si ricava dalla intercettazione del 26 giugno 2015, durante la quale Cappellano Seminara informava la Saguto di avere perso la causa al Cga e la Saguto chiedeva se era la causa che "doveva decidere quel tizio", (ovvero Giuseppe Barone), Nella stessa telefonata, la Saguto, evidentemente preoccupata per il fatto che Cappellano non avrebbe ricevuto a breve i soldi di quella parcella, raccomandava allo stesso di vedersi "comunque" rispondeva "gli do i documenti" con suo marito Lorenzo e Cappellano.

Da questa conversazione si evince chiaramente, tenuto conto di quanto già scritto nei capitoli precedenti in ordine all'esistenza di un patto corruttivo tra i due, come la Saguto avesse ottenuto la promessa di una dazione di denaro da Cappellano Seminara e come tale dazione, che poi risulta essere avvenuta il 30 giugno 2015, fosse in qualche modo connessa al recupero degli onorari della parcella milionaria Sansone da parte del Cappellano.

Tanto è corretta questa conclusione che, qualche giorno dopo la sentenza di rigetto del CGA, la Saguto diceva ad Elio, il quale aveva urgente bisogno di denaro, di "non contare su soldi immediati" perché «non gliel'hanno accolta la cosa a Cappellano sai? ... a proposito di soldi tanti».

Elio si dimostrava anche lui interessato all'esito della causa riguardante Cappellano Seminara e il dato, di per sé alquanto strano, si spiega invece facilmente nella misura in cui anche Elio era perfettamente a conoscenza che i soldi alla famiglia Saguto Caramma arrivavano da Cappellano Seminara; Elio chiedeva, quindi, a sua madre spiegazioni su come mai la controversia fosse finita in quel modo e la Saguto spiegava a suo figlio che Cappellano «deve ricominciare la causa e che l'udienza è fissata nel 2016».

Una cena molto importante

Gli elementi probatori fin qui riportati smentiscono del tutto la tesi difensiva della Saguto, come anche quella della Cannizzo. È fin troppo evidente, dopo la lettura delle conversazioni intercettate, che le cose sono affatto andate come riferito dalla Saguto, la quale, in coerenza con la sua linea difensiva ed al fine di celare la sua condotta illecita, ha dichiarato di avere cercato di fare assumere Richard Scammacca solo perché vi era effettivo bisogno di una nuova figura professionale all'Abbazia Santa Anastasia e di avere, quindi, proposto lo Scammacca solo perché era una persona per bene e di fiducia, segnalatale dalla Cannizzo.

Contraddette dalle emergenze probatorie sono anche le dichiarazioni rese dall'imputata Cannizzo nella parte in cui la stessa ha affermato di non avere alcun interesse personale all'assunzione, ma di essersi limitata ad indicare Richard Scammacca alla Saguto, solo perché la stessa le aveva chiesto un nominativo di una persona da assumere e perché lei a Palermo conosceva unicamente lo Scammacca quale persona da poter segnalare.

Anche sulla vicenda relativa all'organizzazione della cena del 16 giugno 2015 le affermazioni della Cannizzo non collimano con le risultanze delle intercettazioni, atteso che la Cannizzo sostiene di essersi limitata a scegliere Palazzo Brunaccini perché era un locale che aveva buone referenze, quando invece la stessa Cannizzo è stata intercettata mentre propone alla Saguto: «Se tu fossi d'accordo, se tu pensi, potremmo andare a Palazzo Brunaccini, dove eventualmente - come dire? - un saluto ... , passa, ci si saluta, la cosa si chiude li».

E' evidente, quindi, che la scelta, da parte della Cannizzo, del Palazzo Brunaccini di Cappellano Seminara è avvenuta non certo perché fosse un ristorante "frequentabile" di Palermo, ma perché invece l'incontro aveva come obiettivo proprio quello di ottenere informazioni da Giuseppe Barone e, se possibile, anche un "aiuto" dallo stesso, a proposito della controversia di appello pendente al CGA relativa alla milionaria parcella di Cappellano Seminara, E tanto la Cannizzo è a piena conoscenza di questo obiettivo che è lei stessa (e non la Saguto) a suggerire a Cappellano Seminata di limitarsi a passare per un saluto, dato che la sua presenza per tutta la cena avrebbe potuto "mettere in imbarazzo qualcuno".

Contraddittorie sono pure le dichiarazioni rese dai testimoni Giuseppe Barone e Stefano Scammacca, i quali hanno riferito sulla cena a Palazzo Brunaccini circostanze non corrispondenti al vero. Stefano Scammacca, a proposito della sua conoscenza con la Saguto, ha anzitutto falsamente dichiarato (evidentemente per non avvalorare la tesi di accusa sulla raccomandazione lavorativa) di averla incontrata solo a Palermo, presso la residenza del Prefetto Cannizzo e due volte a cena, mentre invece i due si erano già conosciuti a Catania.

È infatti emerso dalla testimonianza di Achille De Martino che il 4 luglio 2014 la Saguto aveva già incontrato a Catania Stefano Scammacca, il quale in quell'occasione la aveva accompagnata presso lo studio medico di un ortopedico; poi avevano pranzato insieme, unitamente a tale Maurizio Cassarino. Nel mese di settembre 2014, inoltre, come riferito dal teste Di Martino, Stefano Scammacca si era recato presso l'ufficio della Saguto insieme a tale Maurizio Cassarino ed a Richard Scammacca (circostanza quest'ultima totalmente pretermessa dal teste Scammacca).

Lo Scammacca ha poi riferito di essere stato lui il promotore dell'iniziativa della cena e di avere solo demandato alla Cannizzo la scelta del ristorante, quando, invece, il teste Barone ha affermato che l'iniziativa della cena proveniva direttamente dal Prefetto Cannizzo, tesi questa da considerare molto più verosimile alla luce di quanto sin qui riportato in ordine alla finalità perseguita dalla Saguto e dalla Cannizzo nell'organizzare quest'incontro e ciò senza dire che il tenore delle conversazioni intercettate è chiaro nel dimostrare che sia stata effettivamente la Cannizzo a prendersi cura dell'organizzazione della cena.

In ordine alla testimonianza resa da Barone Giuseppe, consigliere del CGA Sicilia giova fare una premessa. Il PM ha prodotto all'udienza del 16.05.2018 copia della sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa del 23 giugno 2015, presa in decisione all'udienza del 18 marzo 2015 dal Collegio presieduto da Raffaele Maria De Lipsis e di cui faceva parte, quale consigliere, Giuseppe Barone. Trattasi proprio dell'appello proposto dal Ministero della Giustizia nei confronti di Gaetano Cappellano Seminara per la riforma della sentenza del Tar Palermo n.01874/2014, concernente la chiesta ottemperanza al decreto del Tribunale di Palermo sezione misure di prevenzione di liquidazione del compenso finale di €5.100.000,00 per l'attività di amministratore giudiziario di beni nel sequestro Sansone.

Con la sentenza di primo grado il TAR aveva accolto il ricorso di Cappellano Seminara per ottenere l'ottemperanza al predetto decreto di liquidazione. Il Cga, con la suddetta sentenza, ha invece accolto l'appello del Ministero della Giustizia, dichiarando l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio non avendo il decreto in ottemperanza il carattere della definitività, che è il presupposto per l'azione di ottemperanza.

Orbene, la sentenza in questione è quella di cui si parla nella cena a Palazzo Brunaccini. Al riguardo, sono almeno due le circostanze non rispondenti al vero riferite da Barone Giuseppe. Inizialmente il teste Barone ha affermato che quella sera a cena non aveva saputo quale fosse l'oggetto della controversi,1 di cui gli aveva parlato la Saguto, chiedendogli se poteva controllare lo stato della causa.

Addirittura il teste Barone, in maniera veramente risibile, ha affermato che non sapeva chi fosse quella "signora" seduta a cena con lui, come se si potesse credere, date le circostanze, che Barone non fosse stato informato dall'amico Scammacca che quella sera, insieme al Prefetto di Palermo, sarebbe stata presente uno dei magistrati in quel momento più noto di Palermo e come se si potesse dubitare che tutte le quattro persone sedute quella sera al tavolo dell'Hotel Brunaccini sapessero perfettamente quale era lo scopo di quell'incontro. Il teste Barone ha spiegato che aveva dato la sua disponibilità alla Saguto solo per ragioni di cortesia, dato che in effetti lo stato delle pubblicazioni delle sentenze si poteva controllare anche sul sito internet.

Poi ha aggiunto che comunque la richiesta gli era sembrata strana, dato che il Prefetto avrebbe potuto chiedere direttamente all'Avvocatura dello Stato: […]. Quindi, il teste Barone si è contraddetto clamorosamente, perché se era a conoscenza che l'appellante nella controversia della quale si stava discutendo era il Ministero, allora non è vero, come da lui precedentemente affermato, che durante la cena non sapeva quale fosse l'oggetto della causa. Da ciò può desumersi, quindi, che la Saguto non ha dato al Barone solo il numero del procedimento, ma che sicuramente gli ha anche spiegato chi fossero le parti e quale fosse l'oggetto del contenzioso.

Altrettanto non verosimile è la deposizione del teste Barone allorquando ha affermato che durante la cena aveva avuto la sensazione che la Saguto e la Cannizzo volevano che egli influenzasse la decisione della sentenza, ma che comprendeva le ragioni, considerato che sì stava discutendo di una decisione già assunta e di un mero ritardo nella pubblicazione.

Nel processo amministrativo, invero, la sentenza può essere conosciuta dalle parti solo alla data di pubblicazione delle motivazioni della sentenza. Solo nei c.d. riti abbreviati (ma non è il caso in esame) previsti dall'art.119 del codice amministrativo può aversi la previa pubblicazione del dispositivo in forza dell'art.199 quinto comma [...]. La dichiarazione della parte è attestata nel verbale d'udienza.

Nel caso di specie, dunque, non può dirsi che la causa riguardante Cappellano Seminara fosse già decisa alla data della cena del 16 giugno 2015 (come falsamente affermato dal Barone), ove si consideri che la causa è andata in decisione (ossia è stata presa in riserva) il 18 marzo 2015 e le motivazioni sono state depositate il 23 giugno 2015 (quindi solo dopo la cena del 16 giugno) e non è dato sapere quando si è svolta la relativa camera di consiglio. Neppure può ritenersi esatta l'affermazione del Barone, secondo cui l'esito della sentenza poteva essere conosciuto consultando il sito del CGA, in quanto ciò vale solo per le sentenze le cui motivazioni sono già state depositate e, come già detto, non era questo il caso della sentenza che riguardava Cappellano Seminara.

Spiegata la rilevanza, decisiva ai fini della comprensione dei fatti di reato contestati nel capo di imputazione in esame, della cena a Palazzo Brunaccini e tornando a parlare più specificamente della assunzione di Richard Scammacca, è emerso che la Saguto inizialmente aveva chiesto a Cappellano Seminara di assumerlo in un'amministrazione giudiziaria. Tuttavia, come chiaramente evincibile dall'attività Scammacca nei vari colloqui di lavoro sostenuti si era dimostrato del tutto inadeguato a svolgere un impiego lavorativo di un certo rilievo, quale quello di direttore di albergo, per di più con una retribuzione mensile di €3500,00.

Il figlio dell’amico del Prefetto

Ed allora Cappellano Seminara, che di certo non può dirsi che si trovasse in una posizione di soggezione nei confronti della Saguto, aveva rifiutato di assumere lo Scammacca presso una delle sue amministrazioni giudiziarie (e ciò può desumersi abbia fatto non certo perché non avesse la possibilità di piazzarlo presso una delle sue amministrazioni giudiziarie, ma piuttosto per evitare ogni possibile connessione diretta con il suo interesse finale, che riguardava la controversia pendente innanzi al CGA). Cappellano Seminara era parecchio interessato alla vicenda, per le ragioni che si sono spiegate, e aveva dunque continuato il prodigarsi per l'assunzione di Richard Scammacca, ne aveva parlato a più riprese con la Saguto, anche nel suo ufficio, aveva chiamato Gobetti, coadiutore di Scimeca nella misura Lena, e chiesto spiegazioni circa l'offerta, ritenuta insoddisfacente, di €1500,00 al mese a Scammacca.

A quel punto la Saguto, su suggerimento dello stesso Cappellano, aveva chiesto a Scimeca di assumere Scammacca per l'Abbazia di S.Anastasia, dove sapeva mancare una figura professionale di direttore di albergo. Più precisamente, come emerge dalla testimonianza di Scimeca, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, la Saguto aveva segnalato Richard Scammacca a Scimeca quale ''fìglioccio del prefetto Cannizzo".

Inizialmente la Saguto gli aveva posto la richiesta solo in termini possibilistici. Tuttavia, i colloqui di lavoro sostenuti dallo Scammacca (dapprima con Di Mariano e poi direttamente con Scimeca) non erano andati per niente bene e non si era provveduto all'assunzione. Indi, la Saguto era divenuta "via via più insistente" ed un giorno, il 12 giugno 2015, aveva convocato a casa sua Scimeca per dirgli, con toni bruschi e decisi, che "dovevano assumerlo".

L'intenzione della Saguto con riferimento all'assunzione dello Scamacca è emersa testualmente dalla conversazione intercettata del 12 giugno 2015 alle ore 11.36, già sopra nel dettaglio riportata ed il cui contenuto è qui opportuno richiamare. Alle affermazioni di Cappellano su Scimeca, "Alessandro sempre quella testa ha avuto" e che "se ci deve far fare mala figura, è preferibile non fare niente", la Saguto rispondeva, in maniera netta, di non volere lasciare "chance" a qualcuno (che, evidentemente deve intendersi essere lo Scimeca) dato che era "una cosa" (l'assunzione di Scammacca con lo stipendio voluto) che non avrebbe inciso eccessivamente sull'economia generale (della misura di prevenzione). Subito dopo questa telefonata, sempre il 12 giugno 2015 (che è la data del commesso reato nel capo di imputazione) la Saguto chiamava Scimeca, convocandolo presso la sua abitazione in via ********, e ribadendogli che "doveva prendersi il figlioccio del Prefetto". Ciò si desume dal fatto che lo stesso 12 giugno 2015 alle ore 14,02 la Saguto chiamava ancora Cappellano e lo informava di avere parlato con Scimeca, il quale, dice la Saguto, «farà quello che chiedeva il Prefetto».

Evidentemente i due si riferiscono sempre all'assunzione di Richard Scammacca. Poi, alle ore 14.46 del 12.06.2015 la Cannizzo chiamava la Saguto e le chiedeva scusa per non avere potuto rispondere alla sua precedente chiamata, la Saguto le diceva (e sicuramente la aveva chiamata per dirle questo) che "con Scimeca abbiamo risolto", evidentemente riferendosi all'assunzione di Scammacca. Aggiungeva ''poi ti conto meglio" e poi diceva "così deve essere.

È stato così stabilito .. E così fu" e la Cannizzo rispondeva "e così fu". La Saguto, come riferito dallo Scimeca, aveva avanzato la sua richiesta con un tono molto deciso: "I toni della dottoressa Saguto erano sempre molto decisi, ti lasciava... non ti lasciava molto spazio per dire no. Quindi questa era una richiesta che, siccome interessava al Prefetto, doveva essere... doveva essere fatta".

Tuttavia, lo Scimeca, nel corso della sua deposizione e rispondendo a domanda specifica del Tribunale, ha dichiarato di non avere mai preso impegni con la Saguto circa l'assunzione dello Scammacca, ma di essere stato sempre evasivo nelle risposte: ''Cioè, io non ho mai dello: "Sì". Non sono mai uscito o da casa o dalla stanza della dottoressa Saguto o in una telefonata della dottoressa Saguto, non si è mai conclusa con me: «Sì, te l'assumo». È: «Sì, va be'! Ora vediamo», ma le ho detto pure: «Guarda, da Abbazia non può essere ... Vediamo che cosa si può fare». Infine, Scimeca non ha escluso di essersi impegnato a collocare Scammacca diversamente «Si, posso averle sicuramente detto: «Va bene Vediamo se c'è qualche altra amministrazione dove si può piazzare», ma sempre al solito: compatibilmente con le sue capacità professionali e compatibilmente con le sue richieste economiche», ma poi il 27 agosto 2015 era riuscito a chiudere l'argomento: «No, no. Basta!», la cosa poi finì lì. Poi iniziò la summer school e poi non ci siamo visti più».

Quest'ultima circostanza ha trovato preciso riscontro nella intercettazione ambientale del 28 agosto 2015 nella stanza della dott.ssa Saguto, il cui testo integrale è già stato riportato nelle pagine precedenti. La Saguto insisteva nel chiedere a Scimeca "il favore" di assumere "quello" per il Prefetto e Scimeca rispondeva che lo Scammacca era totalmente inadeguato per quel ruolo e che di questo si sarebbero accorti tutti (in questo senso deve intendersi l'affermazione "ma non ci facciamo sparare perché sparano").

La Saguto, tuttavia, insisteva con pervicacia «a me non me ne frega niente, è il Prefetto!!», e Scimeca provava a reagire "io al Prefetto l'aiuto pure ma non con quella mansione e non con quella qualifica ...", "posiamo trovargli una cosa più modesta ... molto più modesta".

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