Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attentato di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


In quei giorni Totò Riina sta stilando un «papello» da sottoporre allo Stato, una serie di richieste – l’abolizione del carcere duro, la modifica della legge sui pentiti, nuove norme sulla confisca dei beni – per fermare le stragi.

Borsellino non lo sa ancora. Ma altri uomini dello Stato stanno scendendo a patti.

In procura arriva una segnalazione su un possibile attentato contro di lui. Non gli dicono niente. Va ad ascoltare un nuovo pentito, Leonardo Messina. Decide di collaborare con la giustizia anche Gaspare Mutolo, il mafioso che nel dicembre precedente aveva chiesto di parlare con Giovanni Falcone.

«Mi pento ma mi fido solo di Borsellino», fa sapere questa volta Mutolo.

Il procuratore capo Piero Giammanco gli spedisce un altro magistrato. L’aspirante pentito fa scena muta. Borsellino, di ritorno dalla Germania per una rogatoria, va su tutte le furie.

Il 1 luglio è anche lui a Roma – con il procuratore aggiunto Vittorio Aliquò – per ascoltare Gaspare Mutolo.

Il mafioso annuncia subito a Borsellino che ha «delle cose importanti da dire» su «esponenti delle istituzioni che sono collusi». Si avvicina a Borsellino e gli bisbiglia un nome all’orecchio: «Il dottore Contrada…».

È il poliziotto più famoso di Palermo. Ex capo della squadra mobile della città ed ex capo della Criminalpol della Sicilia occidentale, Bruno Contrada in quel luglio del 1992 è il numero tre del Sisde, il servizio segreto civile. E ha anche un incarico operativo all’Alto Commissariato antimafia. Paolo Borsellino ascolta e comincia a verbalizzare. Gaspare Mutolo è un fiume in piena, ha una memoria di ferro, ricorda tutto. Va avanti per più di due ore e mezzo fino a quando, alle 17.40, sul cellulare del procuratore arriva una telefonata. È il Viminale. Un funzionario comunica a Borsellino che il nuovo ministro dell’Interno Nicola Mancino – nominato proprio quel 1 luglio – lo vuole incontrare.

Il magistrato chiude il verbale e dà appuntamento a Mutolo per le 19.

Un’auto blindata porta lui e Vittorio Aliquò a tutta velocità nel centro di Roma, al Viminale. Neanche venti minuti dopo entrano nella stanza di Mancino. Una brevissima chiacchierata, i soliti convenevoli per l’insediamento di un nuovo ministro. Mancino non ricorderà mai, in futuro, di avere incontrato quel giorno Paolo Borsellino. Nemmeno quando glielo chiederanno i procuratori: «Quel giorno ho visto tanta gente…», risponde. Quando esce dalla stanza del ministro, Borsellino incrocia il capo della polizia Vincenzo Parisi. Lui sa che Borsellino è a Roma per interrogare Mutolo. Alle spalle di Parisi c’è un uomo, Bruno Contrada, lo stesso funzionario indicato qualche ora prima dal pentito di Palermo come «colluso». Glielo aveva appena detto Mutolo: «Il dottore Contrada…». Paolo Borsellino torna dal pentito Mutolo. Quello ricomincia a parlare.

Dopo mezz’ora, quattro pagine di verbale sono piene del racconto di Gaspare Mutolo sul poliziotto più famoso della Sicilia.

© Riproduzione riservata