Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tratteremo il tema del caporalato e del lavoro che diventa schiavitù, arricchendo padroni e padroncini.

Ci sono i ragazzi indiani sfruttati nell'Agro Pontino e poi i braccianti delle campagne pugliesi. Ci sono i “neri” chiamati “scimmie” in Calabria, quando hanno sete possono bere solo l'acqua del fiumiciattolo. Ci sono quelli che raccolgono olive e pomodori e quegli altri che vagano negli aranceti, dipende dalla stagione.

Il caporalato è un sistema che arricchisce tutta l'Italia, da Sud a Nord. I padroni e i padroncini vogliono solo silenzio. Chi alza la testa, viene riempito di botte. Una Repubblica fondata sul lavoro che diventa schiavitù. Interminabili giornate di fatica e sudore per qualche euro, nessun diritto.

È un mondo sommerso che facciamo finta di non vedere, un mondo dentro il nostro mondo.
L'inchiesta che pubblichiamo per quindici giorni sul nostro Blog Mafie è firmata da Marco Omizzolo, sociologo Eurispes e docente di Sociopolitologia delle migrazioni dell'Università La Sapienza di Roma, uno dei massimi esperti di schiavismo in Italia. Qualche anno fa ha pubblicato per Fondazione Feltrinelli “Sotto padrone: uomini, donne e caporali nell'agromafia italiana”. Il primo articolo, con la drammatica vicenda di Manjeet, è tratto proprio da questo libro. Poi ci propone altre storie di schiavi e di sfruttamento, di mafie e di vergogne. Dati alla mano, da quando c'è l'emergenza Covid-19, Omizzolo ci spiega che c'è sempre più manodopera sottopagata e condizioni di lavoro sempre più infernali.

Un sistema che piega la nostra fragile democrazia. Da una parte schiavismo e dall'altra il business dei fondi europei in agricoltura, la grande distribuzione alimentare dove a volte comandano i boss. Con imprenditori che diventano prestanome e una lunga catena di collusioni – avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro – all'interno di un mondo criminale che inizia dalla terra e finisce sulle nostre tavole.

Ci accorgiamo che tutto questo esiste solo quando ci scappa il morto. Come ci ricorda la storia di Soumaila Sacko, ragazzo maliano, sindacalista, ucciso a fucilate a San Calogero, provincia di Vibo Valentia. Un attivista per i diritti dei migranti assassinato mentre a Roma si approvavano i “Decreti Sicurezza” e Matteo Salvini, allora ministro degli Interni, annunciava che “la pacchia era finita”. 

Sacko veniva ammazzato solo perché stava tentando di recuperare qualche lamiera in una fabbrica abbandonata per costruirsi una baracca, nel vicino ghetto di San Ferdinando.

E altre vite che non ci sono più. Camara Fantamadi, ucciso “per il troppo caldo”. Il cadavere di Ousmane Keita, ritorovato con le cesoie conficcate in gola. Gassaa Gora, falciato da un pirata della strada mentre tornava in bici nella sua tendopoli, dopo una giornata passata nei campi. Paola Clemente, bracciante, madre di tre figli, il suo cuore si è fermato mentre raccoglieva l'uva. Schiavi d'Italia.

© Riproduzione riservata