Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


È un fantasma nella redazione dell’Ora. Quando arrivo io è già scomparso da nove anni. Ma non c’è giorno che qualcuno non lo ricordi. Per i suoi articoli, per il suo carattere esuberante, per un’inchiesta scritta insieme a lui.

Perché l’hanno rapito? «Forse perché aveva saputo del golpe Borghese che stavano organizzando da lì a poche settimane, per l’8 dicembre 1970», mi racconta Nino Sofia, il «principe della nera» di Palermo, un giornalista eccellente che con Mauro De Mauro ha esplorato la Sicilia.

E dalla Chiesa? «Il colonnello era di un’altra idea, secondo lui Mauro è stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa di importante sul traffico di droga, era convinto che Mauro avesse intuito dove avvenivano gli sbarchi di eroina. I suoi carabinieri avevano presentato un rapporto in procura su dodici mafiosi ma a quella pista della droga non ci hanno mai creduto, i magistrati non sono andati avanti».

Nel 2001 mi ritrovo alla foce del fiume Oreto a cercare il suo cadavere. «L’abbiamo sepolto lì Mauro De Mauro», confessa un pentito.

Lì, dopo tre decenni, c’è solo fango, canne, qualche albero di mandarino.

Carlo Alberto dalla Chiesa chiede ogni mese ai suoi carabinieri rapporti dettagliati sui mafiosi: famiglia per famiglia, paese per paese, provincia per provincia. Informazioni su figli e figliocci, cognati, generi, intrecci di parentele, comparaggi, testimoni di nozze e padrini di battesimo.

Una schedatura speciale solo per i boss. Non si accontenta del «fascicolo personale» di ciascun indiziato mafioso, con dentro i precedenti penali, condanne o assoluzioni.

«Non servono a niente», dice il colonnello ai comandanti operativi di Palermo e Caltanissetta, Agrigento e Trapani.

Contro Cosa Nostra Alberto dalla Chiesa inventa un nuovo metodo d’indagine. Parte dagli alberi genealogici per ricostruire il potere delle «famiglie». Sfila come comandante della Legione davanti ai commissari dell’Antimafia e mostra le sue «schede», una a una. Spiega che così «si può seguire meglio il fenomeno», che con quella raccolta di dati un’indagine non parte mai dal nulla.

All’Antimafia fa vedere anche una mappa tutta coperta da spilli. Azzurri per il furto, rossi per le rapine, neri per gli omicidi.

Nella zona di Corleone non ci sono spilli. Non accade mai nulla da quelle parti. Non ci sono delitti comuni perché la mafia è sovrana sul territorio.

Sono gli anni in cui quel carabiniere, impetuoso, severo, rispettato dai suoi uomini, comincia ad acquistare una certa popolarità in Italia.

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