Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


Per tre settimane ho inseguito un merlo parlante. «Di questo uccello devi scoprire tutto», mi ordinano al giornale. Nei primi di ottobre del 1982, un mese dopo la strage di via Isidoro Carini, al procuratore capo Vincenzo Pajno si presenta l’ingegnere Francesco Naselli Flores, marito della sorella di Dora Fabbo, la prima moglie del generale dalla Chiesa.

E racconta al magistrato: «Una ventina di giorni fa, mi hanno consegnato un merlo che era nell’appartamento di mio cognato e di Emmanuela. Questo merlo non fa che ripetere una frase: “Carlo Alberto morirai, Carlo Alberto morirai”. È un’ossessione. Sicuramente qualcuno, in prefettura, lo ha ammaestrato per ripetere quella frase». Il procuratore capo promette l’apertura di un’indagine. Per giorni e giorni gli investigatori perdono il loro tempo dietro al merlo. E io con loro. Quattro colonne in cronaca ogni mattina.

Lo stato nomina prefetto di Palermo Emanuele De Francesco. È anche Alto commissario per la lotta alla mafia e il direttore del Sisde, i servizi segreti civili.

È un vecchio navigatore dei labirinti ministeriali, uno «sbirro all’antica». A lui, i ministri di Roma concedono subito tutti i poteri che hanno sempre negato al generale. Accesso ai segreti bancari. Coordinamento su tutto il territorio nazionale. Potere di intercettazione telefonica.

Emanuele De Francesco si presenta: «Io non mi sento abbandonato dallo Stato».

Il suo primo atto è confermare la fiducia «a tutti i dipendenti di ogni ordine e grado» di Villa Whitaker. De Francesco rimette al loro posto gli impiegati della prefettura che ha allontanato il generale.

Poi si circonda di una «struttura» di intelligence con a capo Bruno Contrada, il poliziotto più famoso di Palermo. Dieci anni dopo sarà arrestato per le sue complicità mafiose.

L’Alto Commissariato da quel momento diventa un centro di potere investigativo che inizia un’opera di «contrasto» senza fine verso due giudici di Palermo: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

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