Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Cesare Terranova, il primo giudice a mandare a processo per associazione a delinquere la cosca di Corleone.

Nel caso di specie è stato provato che l'omicidio del Terranova fosse stato deliberato dalla Commissione, i cui membri è pacifico che ben conoscessero il ruolo che rivestivano all'interno dell'organo e che il delitto non sarebbe stato eseguito senza l'autorizzazione di quest'organo. Pertanto, l'assenso prestato dai capi-mandamento alla richiesta fatta da Riina di assassinare il magistrato, si configura come un'adesione alla proposta ed in quanto tale partecipa come concausa efficiente alla realizzazione dell'evento, giacchè oltre a rafforzare il proposito criminoso, lo rende attuabile, in quanto, come già detto, le decisioni della Commissione, ancorchè adottate a maggioranza, erano per tutti vincolanti.

Il secondo aspetto del problema, afferendo alle concrete responsabilità perché ricavabili dalle risultanze processuali si traduce nella necessità di accertare con sicurezza il contributo volitivo specifico di questo o di quello dei componenti della Commissione.

All'uopo un idoneo indice rivelatore appare costituito dall'interesse all'omicidio. Esso conduce inequivocabilmente a tutti gli imputati in quanto, sia lo schieramento corleonese che tutta la mafia era chiamata a fronteggiare il grave pericolo proveniente come già diffusamente in precedenza illustrato, dal Terranova che, dal suo posto di consigliere istruttore del Tribunale di Palermo che tutti sapevano gli sarebbe stato assegnato, avrebbe, come pubblicamente conclamato, condotto contro le cosche mafiose una seria attività di contrasto.

Un secondo criterio è costituito dal coinvolgimento nella preparazione o esecuzione del delitto di alcuni capi mandamento e di loro uomini ed è stato provato che Riina avesse effettuato atti preparatori e che si fosse avvalso di uomini soggetti al capo mandamento di S.Giuseppe Iato, Bernardo Brusca, e di uomini soggetti al capo-mandamento di Partanna Mondello, Rosario Riccobono, che si prestarono perché soggetti a vincoli di fedeltà ed obbedienza ai propri capi.

Un altro argomento di prova può trarsi infine dalla generica deduzione che a Palermo i delitti non potessero essere commessi nei rispettivi luoghi di esecuzione, senza il consenso delle cosche che controllavano il relativo territorio, secondo una regola che ormai fa parte del notorio giudiziario.

Unitamente a Riina appaiono così consapevoli e coinvolti nel delitto altri tre capi mandamento. Orbene, il perfetto e pubblico coordinamento realizzato in vista dell'omicidio da quattro importanti mandamenti, cioè da una parte notevole della mafia palermitana, presuppone necessariamente che sia i quattro capi-mandamento interessati che gli altri capi-mandamento avessero discusso il caso in Commissione ed avessero autorizzato l'assassinio. In caso contrario dovrebbe ammettersi che, nelle predette circostanze di tempo, la Commissione non operasse più, perché era stata sciolta. Il che non è conforme al vero in quanto la sua esistenza ed operatività è stata affermata da tutti i collaboratori di giustizia.

Né giova ad indurre in contrario avviso l'indubbia circostanza che gli atti preparatori accertati risalissero alla delibera del 75 e non a quella del 79, giacché il piano criminoso volto a sopprimere Terranova aveva inizio nel 75 e nel 79 veniva solo modificato con la sostanziale revoca del divieto di commettere l'omicidio in Sicilia.

[…] Pertanto trovando riscontro negli elementi di prova esaminati che consentono di ritenere sussistente un interesse di tutta la Commissione all'assassinio del Terranova ed il coinvolgimento nella preparazione ed esecuzione del delitto di un vasto settore della mafia palermitana, a partire dal 1975 sino al giorno del delitto, le dichiarazioni del Di Carlo provano validamente che gli imputati nel giugno o all'inizio dell'estate del 79 parteciparono alla Favarella ad una riunione della Commissione per discutere dell'omicidio di Terranova.

Siffatte dichiarazioni valutate congiuntamente agli indizi emergenti dalle modalità dell'omicidio, agli emersi dati probatori ed all'accertata causale unica e riferibile con certezza a Cosa Nostra, consentono di concludere che all'inizio del!' estate del 79 tutti i capi-mandamento partecipassero alla Favarella alla riunione della Commissione con la quale veniva stabilito che Cesare Terranova fosse ucciso in Sicilia.

E gli avvocati difensori chiamano in causa i pentiti

L'imputato Greco Michele decisamente negava che alla Favarella si fossero tenute riunioni di mafia, di alcun genere, sostenendo che vi ostasse il fatto che ufficiali dei Carabinieri e funzionari della Questura di Palermo vi avessero libero accesso per motivo di svago, così come vi avevano libero accesso gli studenti universitari della Facoltà di Agraria, avendo egli ceduto in uso all'Università un pezzo del terreno.

Benchè non sia facilmente comprensibile in che modo occasionali o abituali ospiti cui il Greco concedeva accesso alla Favarella potessero costituire ostacolo all'accesso in una tenuta estesa circa 40 ettari, osserva la Corte che potendosi agevolmente escludere che estranei presidiassero la proprietà ogni giorno e per tutto l'arco delle 24 ore, la loro presenza era del tutto compatibile con quella dei componenti della Commissione, ben potendo l'imputato convocare questi ultimi nei giorni e nelle ore in cui nessuno estraneo si trovasse sul posto.

L'eccezione addotta va quindi giudicata priva di pregio.

Chiedeva l'imputato contestualmente alla Corte di avere risposta a questa specifica domanda: perché Leggio aveva aspettato che si formasse la Commissione per chiedere l'omicidio di Terranova e non avesse invece provveduto ad ordinarlo quando, in precedenza, faceva parte, come asserito dai pentiti, del gruppo di tre persone che erano poste al vertice di Cosa Nostra?

E' questa una domanda a cui la Corte non è in grado di dare risposta, non rinvenendo dati o elementi pertinenti ed utilizzabili nel fascicolo del dibattimento.

Parimenti senza risposta è rimasta la domanda del perché, nel corso del precedente processo, nessuno avesse comunicato al P.M., al G.I. O ai vari collegi giudicanti, che nel maggio del 1976, all'atto dell'arresto di Gaspare Mutolo, considerato Killer del mandamento di Partanna Mondello e guardaspalle del capo-mandamento Riccobono, venisse trovato annotato m una agenda in suo possesso, il numero di targa dell'autovettura del Terranova.

Tassativo è sul punto il capitano dei C.C. Cannelino Di Fazio: di tale risultanza investigativa non c'era traccia nel processo per l'omicidio Terranova, celebrato a carico di Leggio Luciano. Né traccia alcuna si rinviene nelle acquisite sentenze emesse dalla Corte di Assise del Tribunale, dalla Corte di Assise d'Appello e dalla Corte di Cassazione, o nell'acquisita documentazione e nei verbali di causa di quel processo.

Pertanto, l'unica deduzione che siffatta evenienza consente di fare è che se del numero di targa annotato nella propria agenda non ne avesse parlato il Mutolo, il fatto sarebbe passato sotto silenzio anche in questo processo.

Al fine di porre in dubbio la ricostruzione dei fatti e l'accertamento delle responsabilità prospettate dalla pubblica accusa, le difese chiedevano ed ottenevano l'esame di un consistente numero di pentiti, alcuni dei quali già esaminati dal P.M.

Quasi tutti, confermavano quanto già dichiarato nel primo esame ed aggiungevano di non possedere conoscenze dirette relativamente al fatto di sangue. […].

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