Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Cesare Terranova, il primo giudice a mandare a processo per associazione a delinquere la cosca di Corleone.

A gennaio avevano ucciso il giornalista Mario Francese, a marzo il segretario provinciale della Democrazia Cristiana Michele Reina, a luglio il capo della squadra mobile Boris Giuliano. A settembre è toccata a lui, Cesare Terranova, il giudice che aveva "scoperto” i Corleonesi. L'anno è il 1979, quello che apre la stagione dei delitti eccellenti di Palermo.

Mattina, fra i palazzi della città nuova la segnalazione di una sparatoria, nessun testimone ha visto o sentito nulla, dentro un'auto all'incrocio fra due vie ci sono Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso, il suo angelo custode, amico e poliziotto. “Omicidio preventivo e dimostrativo”, dissero subito gli esperti di cose di mafia.

Cesare Terranova, uomo colto, magistrato intransigente, fra il 1955 e il 1960 era stato il primo a mandare a processo per associazione a delinquere la famigerata cosca di Corleone. Personaggi che al tempo sembravano solo piccoli boss di paese, boss che negli anni a venire avrebbero comandato Cosa Nostra e fatto conoscere la mafia siciliana al mondo intero: Luciano Liggio e Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. Processati a Bari - il dibattimento si celebrò in quella città per legittima suspicione, legittimo sospetto - nel giugno del 1969 furono tutti assolti per insufficienza di prove. Ma la mafia di Corleone al giudice l'aveva giurata.

Dopo Palermo lo sbarco a Roma, due legislature in Parlamento come “indipendente di sinistra” nelle file del Partito Comunista. È il 1972, la prima Commissione Parlamentare antimafia è al lavoro da un anno. È Cesare Terranova che firma, insieme a Pio La Torre e a Emanuele Macaluso, quella relazione di minoranza che farà storia. Il “sacco” edilizio di Palermo, i rapporti fra mafia e politica, le mani sulla città di Salvo Lima e Vito Ciancimino. Ed è sempre lui che con Pio La Torre elabora quella legge che sarà approvata nel settembre del 1982, una settimana dopo l'omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. La legge sull'associazione mafiosa e sulla confisca dei beni che abbiamo ancora oggi, strumento decisivo per la lotta al crimine.
Ma Cesare Terranova voleva tornare a fare il magistrato. Era appena sceso in Sicilia, da lì a qualche giorno sarebbe stato nominato consigliere istruttore del Tribunale di Palermo. L'hanno fermato prima.

Dopo il suo omicidio si è diffusa l'idea che a volere la sua morte fosse stato solo Luciano Liggio. Una vendetta personale. Una lettura semplicistica e riduttiva, banale. Il giudice Terranova è stato ucciso per quello che aveva fatto, ma soprattutto per quello che avrebbe potuto ancora fare. Dopo di lui hanno assassinato anche il Presidente della Regione Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) e il procuratore capo Gaetano Costa (8 agosto 1980), poi l'onorevole Pio La Torre (30 aprile 1982) e il generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa (3 settembre 1982) e poi ancora Rocco Chinnici (29 luglio 1983) che era diventato consigliere istruttore dopo Cesare Terranova. Una strategia della tensione, una mattanza. Non c'era certo solo l'odio di Luciano Liggio.

Da oggi, sul Blog Mafie, pubblichiamo ampi stralci della sentenza della Corte d'Assise di Reggio Calabria (Presidente Pasquale Ippolito) che ha portato alla condanna della Cupola di Cosa Nostra per il delitto Terranova. Era il 2000, ventuno anni dopo l'agguato contro il primo giudice che ha fatto paura alla mafia.

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