Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Cesare Terranova, il primo giudice a mandare a processo per associazione a delinquere la cosca di Corleone.

Alla stregua delle svolte considerazioni può ritenersi certo che il 13/8/79 ad opera delle stesse persone o di persone tra loro collegate veniva sottratta a Giordano Santo, l'autovettura Peugeot 305 tg. P A 524645 e venivano asportate dall'autovettura A 112 tg. PA 53797, appartenente a Michela Giuliana, le targhe.

Successivamente, il 25-9-79, il M.llo  P.S. Lenin Mancuso, addetto alla scorta del giudice Terranova, poco prima delle ore 8,30 arrivava, come di consueto, in Via Rutelli, ove il magistrato abitava ed entrava nel bar Adria ove era solito attendere che il Terranova uscisse di casa.

Appena lo vedeva gli andava incontro (v. teste Di Mattia). Entrambi prendevano posto sulla macchina del magistrato che se ne poneva alla guida. Per immettere l'auto nel flusso della circolazione, il guidatore manovrava in retromarcia, quando comparivano ai due lati del mezzo due uomini, armati di fucile e di pistola. Il primo cominciava a sparare contro il magistrato ed il secondo contro il Mancuso. Sparavano sino a quando l'autovettura arrestava la propria marcia fermandosi davanti all'autolavaggio che c'era in via De Amicis. Compiuta l'azione di morte i due assassini salivano sull'autovettura Peugeot 305, in precedenza sottratta a Giordano Santo, ferma all'incrocio tra via Rutelli e via De Amicis, con direzione di marcia verso via Gargallo (v. testi Panzica, La Manna Michele) e si allontanavano.

Abbandonavano il mezzo in Via Vincenzo Di Marco, trasbordando sicuramente su altra autovettura che era nei pressi ad attenderli.

Non è infatti ipotizzabile che i due Killers, dopo aver abbandonato l'auto utilizzata per allontanarsi dal luogo del delitto unitamente al complice che ne era alla guida (v.teste di Mattia), proseguissero a piedi portando seco il fucile e la pistola con cui avevano sparato alle vittime.

In Via Di Marco doveva dunque necessariamente esserci in attesa un'altra autovettura con la quale proseguirono in tutta sicurezza la fuga o quantomeno ove nascosero le armi che avevano con sé.

Dalla ricostruzione effettuata, emerge chiaro che l'eccidio del giudice Terranova e del sottufficiale di Polizia che lo scortava, non fu opera di un solitario assassino, ma fu l'atto conclusivo di una complessa e premeditata azione criminosa, iniziata con il furto dell'autovettura Peugeot in danno di Giordano Santo e conclusa con l'abbandono del mezzo in Via De Marco.

Operarono non meno di quattro persone e cioè i due killers, l'uomo che era alla guida della Peugeot e l'uomo che era in attesa con una macchina "pulita" in Via De Marco.

Vennero utilizzati un fucile ed una pistola ed un gran numero di proiettili, una scatola dei quali era pm lasciata all'interno dell' autovethrra abbandonata in Via De Amicis.

Venne preventivamente rubata una macchina cm furono applicate targhe appositamente sottratte ad altra autovettura.

Un piano studiato nei minimi dettagli

Furono utilizzate almeno due autovetture, una delle quali si fermava all'incrocio di Via Rutelli con la via De Amicis per prendere a bordo gli esecutori materiali del reato ad azione compiuta.

Il delitto appare così organizzato ed eseguito con grande dispendio di uomini e di mezzi e previa meticolosa preparazione.

Le abitudini del magistrato e dell'uomo di scorta dovettero essere a lungo osservate e studiate, giacché i killers andarono "a colpo sicuro" comparendo all'improvviso ai due lati dell'autovettura che, procedendo in retromarcia per immettersi dal punto in cui era parcheggiata nel flusso della circolazione, si muoveva lentamente e perciò costituiva facile bersaglio per gli assassini ed una trappola mortale per i due uomini che vi si trovavano a bordo cui era preclusa ogni via di scampo, tanto che, come accertato in sede peritale, venivano attinti da 14 colpi d'arma da fuoco.

L'accurata organizzazione, gli atti preparatori compiuti, le evidenziate attività post - delictum ed il cospicuo impiego di uomini e di mezzi, costituiscono univoci e gravi indizi atti a far ritenere che l'evento sia stato ideato e realizzato dalla criminalità organizzata che, in quelle circostanze di tempo esercitava in Palermo il dominio sul territorio.

Notorio essendo che all'epoca dei fatti esistesse in Palermo una sola compagine delinquenziale capace di effettuare il controllo del territorio ed ampiamente dotata di uomini e mezzi e cioè l'associazione a delinquere denominata mafia, il crimine è ad essa attribuibile.

Convalida l'espresso convincimento la spettacolarità dell'esecuzione e la spavalderia degli esecutori che agirono a volto scoperto, in pieno centro di Palermo ed in un'ora di punta.

Il delitto infatti, come tante altre volte è avvenuto, poteva ben essere consumato da un killer solitario che avrebbe potuto avvicinarsi al magistrato lungo la strada o altrove innumerevoli volte, dato che alle ore 14 il servizio di scorta cessava e Terranova manteneva nella restante parte della giornata un normalissimo tenore di vita, uscendo anche di notte e non rinunciando a svaghi o impegni culturali. (v.teste G.Giaconia).

Non può però sottacersi che non era facile e certo ed era sicuramente rischioso e non programmabile temporalmente aspettare di cogliere l'occasione propizia per uccidere, mentre era più sicuro compiere l'azione e realizzare l'evento sfruttando momenti predeterminati quali l'orario in cui abitualmente il magistrato usciva di casa per recarsi in ufficio e, con l'uomo di scorta, era intrappolato ed inerme all'interno di un'autovettura in lento movimento.

La spettacolarità dell'azione era dunque inevitabile, così come era necessario l'impiego di uomini e mezzi che, per come è notorio, in quelle circostanze di tempo e di luogo solo la mafia era in grado di disporre ed a cui, solo la mafia era in grado di assicurare, attraversi la forza di intimidazione del vincolo associativo una cortina protettiva di

omertà che ne avrebbe garantito l'impunità, così come è avvenuto, atteso il tasso più o meno alto di reticenza che può cogliersi nelle dichiarazioni rese da tutti quelli che erano presenti sul luogo del delitto.

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