Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

Il 14 ottobre 1981, all'interno della "CALCESTRUZZI MAREDOLCE", veniva ucciso MAFARA GIOVANNI.

L'omicidio aveva avuto diversi testimoni oculari e, pertanto, se ne poteva ricostruire la dinamica.

VILLAFRATE CARMELA MARIA, in particolare, riferiva che, mentre si trovava presso l'ingresso della palazzina adibita ad uffici, intenta a conversare con alcuni autisti di autobetoniere, aveva visto sopraggiungere due giovani a bordo di una moto.

I due si erano fermati davanti la porta d'ingresso e, quasi contemporaneamente, era giunta una auto di colore rosso amaranto che si era fermata vicino alla moto.

Il giovane che conduceva la moto, allora, aveva imbracciato un fucile a canne mozze, mentre l'altro giovane aveva impugnato una rivoltella, ed avevano, quindi, intimato a tutti di mettersi con la faccia al muro.

Sbirciando, aveva visto i due giovani entrare negli uffici ove qualche minuto prima si era diretto MAFARA GIOVANNI per compilare una bolletta di consegna di calcestruzzo.

Si erano, quindi, uditi degli spari e, subito dopo aveva visto i due uscire e fuggire con la moto.

Nulla la VILLAFRATE sapeva riferire sugli occupanti della autovettura rossa e nemmeno poteva dire se questi avessero o meno preso parte alla sparatoria.

Intuendo che, ormai, l'azione dei malviventi era stata portata a termine, la VILLAFRATE si era recata all'interno degli uffici ed aveva dovuto constatare che il MAFARA giaceva a terra, cadavere.

Dei due giovani dava una descrizione vaga e di nessuna utilità per la loro identificazione.

Queste della VILLAFRATE erano le dichiarazioni più complete ed esaurienti sulla dinamica dell'omicidio e nulla di ulteriore emergeva dal racconto degli altri testimoni oculari.

BORGESE GIOVANNA - moglie della vittima - riferiva di aver appreso dell'omicidio mentre si trovava al lavoro presso la "DAGNINO".

Precisava che il marito si occupava, di fatto, della direzione della "CALCESTRUZZI MAREDOLCE", mentre Amministratore della società era il fratello MAFARA GIUSEPPE.

La donna, comunque, aggiungeva che, dopo l'omicidio del marito, né MAFARA GIUSEPPE, né MAFARA PIETRO si erano più fatti vedere in famiglia, come pure non si era più fatto vedere MAFARA FRANCESCO che, tra l'altro, era latitante.

Nel rapporto di P.G. inoltrato dalla Squadra Mobile si riferiva che la BORGESE aveva oralmente riferito che i tre cognati, in realtà, avevano fatto avere loro notizie, ma non si erano più fatti vedere per motivi di sicurezza, temendo per la loro incolumità.

I Mafara, i Grado e il narcotraffico

[…] Di tale grave fatto di sangue - una delle tappe salienti della guerra di mafia - si è già detto altrove e, comunque, appare inesatto inquadrare l'omicidio del MAFARA in un contesto di contrasti economici. Si è già parlato dell'importanza assunta dalle famiglie MAFARA e GRADO nel traffico internazionale di stupefacenti e si è già detto come dette famiglie fossero punti di riferimento specifico di "Cosa Nostra" nell'ambito di tale traffico.

I MAFARA ed i GRADO, inoltre, erano legati a STEFANO BONTATE: i primi, con SALVATORE e FRANCESCO, inseriti nella famiglia di Brancaccio capeggiata, sino alla sua uccisione, da GIUSEPPE DI MAGGIO, i secondi, con GAETANO e ANTONINO, inseriti nella stessa famiglia del BONTATE, Santa Maria di Gesù.

L'uccisione di MAFARA GIOVANNI coincide, temporalmente, con la scomparsa di MAFARA FRANCESCO e GRADO ANTONINO ed è da ritenersi sicura la eliminazione dei due ultimi ad opera dei clan "vincenti", per quanto concordemente riferito da vari coimputati.

Pur avendo, infatti, la moglie di MAFARA GIOVANNI dichiarato informalmente alla polizia che il cognato FRANCESCO - latitante - dopo la uccisione del fratello si era fatto sentire in famiglia, vi è da credere che lo stesso sia stato eliminato.

Già STEFANO CALZETTA, parlando degli omicidi seguiti alla uccisione di STEFANO BONTATE, inseriva la soppressione di MAFARA GIOVANNI e la scomparsa di MAFARA FRANCESCO in tale contesto.

Più specificamente, il CALZETTA, parlando dei VERNENGO, aggiungeva: "Relativamente alla famiglia di quest'ultimo, inoltre, ricordo che due giorni prima dell'uccisione del fratello di CICCIO MAFARA io mi recai presso l'abitazione di PIETRO VERNENGO al Ponte Ammiraglio. Ciò feci perché avevo appreso che egli era appena uscito dal carcere (non so se di Mazara o di Marsala, ma credo, comunque Carcere Mandamentale).

Nell'occasione trovai intento a conversare con il citato VERNENGO tali SINAGRA (detto TEMPESTA) e COSTANTINO ANTONINO..............mentre mi trovavo in casa del VERNENGO, si presentò CICCIO MAFARA che, ricordo perfettamente, calzava un berretto bianco. Questi, al momento di entrare in casa, venne apostrofato dal VERNENGO PIETRO con la frase "pezzo di merda" e nel contempo il MAFARA si avviò verso il COSTANTINO e gli altri che eravamo presenti baciandoci tutti quanti. Al momento di baciare COSTANTINO, il MAFARA tornò a baciare il medesimo, accompagnando l'effusione con la frase testuale: baciamoci un'altra volta.

Ciò, evidentemente, significava il desiderio del MAFARA di manifestare la sua sincerità e amicizia col COSTANTINO e col VERNENGO di cui, come ho detto, costui era il braccio destro.

Presente nell'occasione era pure il cugino di PIETRO, VERNENGO RUGGIERO, il quale, anzi, ci versò da bere.

Dopo essere rimasto un poco a conversare, io fui lasciato solo nella stanza da pranzo assieme al COSTANTINO e gli altri si allontanarono assieme al MAFARA tornando dopo circa altra mezz'ora. Non so cosa nel frattempo costoro abbiano fatto; so soltanto che da allora non vidi più il MAFARA e che dopo due giorni il fratello di costui venne ucciso all'interno della CALCESTRUZZI MAREDOLCE".

Quanto riferito dal CALZETTA conferma, tra l'altro, i sicuri legami del MAFARA con i VERNENGO, anch'essi pienamente inseriti, come raffinatori, nel traffico internazionale di stupefacenti.

Le dichiarazioni di Contorno

Sulla contemporanea scomparsa di MAFARA FRANCESCO e GRADO ANTONINO riferiva, tra gli altri, SALVATORE CONTORNO, il quale precisava: "Ho appreso da mio cugino, BELLINI CALOGERO, che il giorno della uccisione di GIOVANNI MAFARA, ANTONINO GRADO (anch'egli mio cugino) e FRANCO MAFARA dovevano recarsi ad un appuntamento a Croce Verde Giardini, a casa di GIOVANNI PRESTIFILIPPO; dei due non si è saputo più nulla. Non escludo che il BELLINI sia stato ucciso per avere dato ospitalità a GRADO ANTONINO. Infatti, come mi ha detto, il GRADO e il MAFARA erano usciti da casa di esso BELLINI. Questa notizia è ben nota nell'ambito familiare. Io ho appreso questa notizia telefonando - credo da Roma e comunque da fuori Palermo - a casa del BELLINI, il quale, come sapevo, ospitava NINO GRADO.

Ovviamente ho telefonato al BELLINI per sapere se era vera la notizia della scomparsa di NINO GRADO, cugino di entrambi. NINO GRADO era stato da me informato dell'attentato che io avevo subito e, ciononostante, era rimasto a Palermo. Evidentemente riteneva di non correre pericoli per la propria incolumità. Quando gli dissi che sarei andato via da Palermo, non mi esternò preoccupazione per se stesso". […].

Per spiegare, poi, la scomparsa del MAFARA, le famiglie vincenti avevano riferito agli americani che questi era un confidente della polizia responsabile degli arresti e del sequestro del denaro.

È, dunque, fuori dubbio che MAFARA FRANCESCO, GRADO ANTONINO, e MAFARA GIOVANNI siano stati soppressi proprio in connessione con la guerra di mafia e con la specifica eliminazione degli amici del BONTATE e del CONTORNO.

Ciò si rileva, inoltre, ancor più chiaramente dalle successive dichiarazioni di SALVATORE CONTORNO il quale parlando del periodo di detenzione trascorso nel carcere di Novara e dei colloqui ivi avuti con MASINO SPADARO e GAETANO FIDANZATI, riferiva: "Debbo dire che, a differenza dello SPADARO, GAETANO FIDANZATI giunse perfino ad altercare con me parlando dalle finestre delle nostre celle (non vi era, infatti, altra possibilità di parlare tra noi).

Quando, in particolare, io espressi parole di fuoco nei confronti di PIETRO LO IACONO, che, a mio avviso, era il responsabile dell'uccisione di GRADO ANTONINO e FRANCO MAFARA, il FIDANZATI mi rispose che non dovevo prendermela con LO IACONO ma con lui, perché era stato proprio esso FIDANZATI ad avvertire, a Milano, NINO GRADO che, secondo quanto aveva appreso da SALVATORE PRESTIFILIPPO, la "Commissione" voleva parlargli; ma anche secondo il FIDANZATI egli non aveva colpa dell'uccisione di NINO GRADO perché non credeva affatto che quest'ultimo fosse destinato ad essere ucciso. E devo rammaricarmi ancora una volta, perché il GRADO non ha ascoltato i miei consigli.

Quando, infatti, sono scampato fortunosamente all'attentato, mi sono reso conto che tutti i miei familiari correvano pericolo ed avevo consigliato anche allo stesso NINO GRADO a non recarsi ad alcuna riunione. Egli, invece, non volle ascoltarmi e, giunto a Palermo, si recò a casa di mio cugino BELLINI CALOGERO (LILLO L'ELETTRICISTA) dove, poi, venne rilevato da FRANCO MAFARA, secondo quanto mi disse il BELLINI. Da allora si sono perse le tracce di mio cugino e di FRANCO MAFARA". È evidente, dunque, che alla ideazione ed esecuzione degli omicidi dei MAFARA e del GRADO abbiano partecipato personaggi quali il LO IACONO e che, quindi, tali delitti si inquadrino proprio nella strategia della eliminazione totale dei "perdenti". […].

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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