Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


Sono i suoi ultimi giorni.

Sempre più abbandonato da Roma e sempre più respinto dalla Sicilia, Carlo Alberto dalla Chiesa decide di rompere l’isolamento. Lo Stato è in ritirata, la mafia all’attacco, il generale ha pochi amici: il cardinale Salvatore Pappalardo e alcuni preti delle borgate, i sindacalisti, qualche socialista legato a Craxi, uomini del Pci e del Movimento Sociale.

Chiama Giorgio Bocca, un giornalista che non è mai stato morbido con lui negli anni angosciosi del terrorismo. Ma è un grande, un uomo con la schiena dritta, anche lui piemontese.

Bocca è in vacanza in Val d’Aosta, scende subito in Sicilia e la mattina del 10 agosto su Repubblica esce un’intervista che rimarrà negli annali del giornalismo italiano.

Il generale parla delle quattro maggiori imprese edili catanesi – i Cavalieri – «che con il consenso della mafia palermitana oggi lavorano a Palermo». Racconta che la «mafia è forte anche a Catania».

Denuncia la connivenza delle banche che proteggono i loro clienti in combutta con la criminalità organizzata. E poi dice che «l’Italia perbene sbaglia a disinteressarsi» di quello che sta accadendo in Sicilia. È un messaggio che lancia a tutta la nazione.

Perché la mafia ormai non è solo in Sicilia. È dappertutto. A Bocca dice anche: «Credo di avere capito la nuova regola del gioco. Si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso, ma si può uccidere perché è isolato».

Il generale in tre mesi non ha capito poco di Cosa Nostra come vorrebbero far credere alcuni. Ha capito tutto.

Palermo insorge. Tutti che urlano contro dalla Chiesa.

Si scatena anche il prefetto di Catania Francesco Abatelli. Lui giura che a Catania «la mafia non c’è». Qualche mese prima Abatelli ha tagliato il nastro all’inaugurazione di un autosalone di proprietà di Nitto Santapaola, il capomafia della città. Quello che ha ordinato la strage della circonvallazione a giugno.

Palermo è in fiamme. Altri morti.

L’11 agosto fra i viali del Policlinico uccidono il medico legale Paolo Giaccone. Non ha voluto «aggiustare» una perizia, far finta di non vedere l’impronta di un sicario di mafia trovata su una pistola.

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