Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

«Dobbiamo fare presto» dice Borsellino a Di Pietro, senza fare, però, espresso riferimento all’inchiesta mafia-appalti. Più netta, sul punto, la testimonianza del dottor Alberto Di Pisa.

DI PISA, già magistrato. Io ricordo che in occasione della camera ardente allestita al Palazzo di Giustizia dopo la strage di Capaci ebbi con Borsellino un breve colloquio dinanzi alle bare di Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Io dissi a Borsellino che questa strage secondo me aveva una finalità destabilizzante. Borsellino mi corresse e mi disse «No, questa non è una strage destabilizzante, ma è una strage stabilizzante» nel senso che mirava a mantenere il sistema attuale e poi aggiunse: «Io intendo riaprire le indagini su mafia e appalti», quasi a volere stabilire un collegamento tra la strage e l’indagine sugli appalti…

A proposito della frenetica attività di Borsellino in quei 57 giorni, torniamo sull’audizione di Antonio Ingroia davanti a questa Commissione.

FAVA, presidente della Commissione. Perché c’era questa particolare attenzione di Borsellino sul dossier dei Ros?

INGROIA, già magistrato. Per i famosi diari (di Falcone, ndr.). Borsellino diceva: «Intanto sono sbalordito che Giovanni Falcone, che tanto aveva criticato post mortem Rocco Chinnici perché teneva i diari, anche lui avesse preso questa abitudine». Poi anche lui, Paolo, con l’agenda rossa… Evidentemente accade quando ci si trova in una situazione…

FAVA, presidente della Commissione. …di solitudine, forse.

INGROIA, già magistrato. Solitudine, o forse la sensazione della morte incombente… Insomma, Paolo mi dice: «se Giovanni lo ha fatto, evidentemente si tratta di cose particolarmente gravi e quindi io voglio approfondire. Se non lo farà la procura di Caltanissetta, lo faccio io informalmente e poi riporterò a Caltanissetta – questa era la sua idea – rigo per rigo, ogni cosa». E siccome ci sono passaggi nel diario di Falcone relativi al rapporto mafia-appalti, lui trova un motivo in più, che si aggiungeva già alle ragioni che aveva acquisito da Marsala, perché a Marsala lui aveva avuto la netta sensazione che a Palermo lo stavano insabbiando.

Sentiamo quale ricordo custodisce Ingroia su quella riunione del 14 luglio 1992.

INGROIA, già magistrato. I titolari di quel procedimento erano, la stragrande maggioranza, tutti delfini di Giammanco e quindi Borsellino doveva stare alla larga da quel tipo di indagine, che riguardava politica, mafia e appalti. Ricordo una battuta che Paolo fece a uno dei fedelissimi di Giammanco del tempo – non ricordo se era Pignatone o Lo Forte – disse: «voi non mi raccontate tutta la vera storia sul rapporto dei ROS». E aveva ragione.

Due versioni dello stesso dossier?

Borsellino è interessato per varie ragioni alla vicenda mafia-appalti. Ma davvero non si fida del lavoro svolto dai colleghi?

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Secondo me la scarsa fiducia c’era, perché c’erano cose che non si capivano, c’erano articoli di stampa che dicevano che c’erano nomi come De Michelis, come Mannino… e allora è chiaro che Paolo Borsellino diceva: «c’è qualcosa che non mi raccontate…». Non solo era un clima di sospetto di Paolo Borsellino ma un po’ di tutti i sostituti ed eravamo in difficoltà noi stessi, cioè, non è che ci è sfuggito qualche cosa? Non è che magari c’è qualche carta che non ci siamo letta? Qualcosa c’era, perché la stampa quando dava notizie, diceva cose vere, solo che quegli atti erano nell’ufficio dei Ros, non erano alla Procura di Palermo… a giugno c’è un articolo su De Michelis, e tu stampa come fai a sapere una cosa che io non so? C’è un articolo su Mannino nel luglio… e tu come fai a sapere una cosa che io non so? Qualcuno passava, dentro il Ros, notizia alla stampa. Notizie che rispondevano alla realtà perché quegli atti c’erano ma non erano alla Procura di Palermo…

Proviamo a riassumere. A febbraio del 1991 i Ros depositano una corposa informativa all’interno della quale, però, non ci sono nomi di politici. Partono le indagini ed arrivano i primi arresti.

A luglio dello stesso anno, la procura conferisce ai Ros, e segnatamente al capitano De Donno, un’altra delega avente ad oggetto la Sirap. Ma già a giugno, la stampa aveva cominciato a fornire una serie di anticipazioni su alcune intercettazioni che avrebbero riguardato soggetti appartenenti al mondo della politica.

Quelle carte, spiega Scarpinato, non erano tra gli atti in possesso della Procura che di quei nomi eccellenti verrà a conoscenza solamente con la seconda informativa dei Ros, a settembre del 1992, dopo che a Palermo è successo veramente di tutto.

Ma come si spiega, allora, che la stampa fosse al corrente del coinvolgimento di alcuni soggetti ancor prima che tale circostanza fosse nota alla procura di Palermo? È un quesito che nel febbraio ’99, l’allora procuratore capo della Procura di Palermo, Giancarlo Caselli aveva condiviso con la Commissione nazionale antimafia attraverso la relazione redatta dai suoi sostituti.

Sembrano essere esistite due versioni dell'informativa mafia-appalti, e precisamente:

una versione ufficiosa, oggetto di indiscrezioni giornalistiche e di illecite fughe di notizie, contenente specifici riferimenti ad esponenti politici di importanza nazionale, ed in particolare agli on. Salvo Lima, Rosario Nicolosi e Calogero Mannino;

una versione ufficiale, quella consegnata il 20 febbraio 1991 nelle mani del dott. Giovanni Falcone, allora Procuratore aggiunto a Palermo; versione priva del benché minimo riferimento ai suddetti esponenti politici.

(…)

• Chi poteva avere insieme la possibilità e l'autorità di epurare l'informativa, espungendo le fonti di prova riguardanti i politici De Michelis, Lima, Nicolosi, Mannino, Lombardo, prima che venisse consegnata, così epurata, alla Procura di Palermo?

• Perché qualcuno ha deciso di operare queste omissioni?

Il ricordo di Scarpinato

A distanza di ventidue anni abbiamo rivolto la stessa domanda al procuratore generale Scarpinato.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Quando noi abbiamo l’informativa, nel febbraio ’91, non sappiamo che c’è una intercettazione tra Lima e un soggetto coinvolto negli appalti. Viene ucciso Lima, i Carabinieri non ci dicono niente, non ci dicono che esiste una intercettazione che riguarda Salvo Lima neppure dopo l’omicidio. Questa cosa come si spiega secondo lei? Nell’informativa del 1991, ben 900 pagine, non si citano queste intercettazioni: spuntano soltanto nel settembre del 1992 dopo che ci sono stati gli articoli di stampa in cui dice che la Procura di Palermo è insana… Cosa hanno fatto i Carabinieri? Quale è la scelta che hanno fatto? Io, sinceramente, questo non lo so. Quello che è inammissibile è che da parte di alcuni si spaccia l’archiviazione temporanea con l’archiviazione dell’inchiesta, tutta, che è un falso perché l’inchiesta non fu mai archiviata, continuò…

Scarpinato aggiunge che aveva informato personalmente Borsellino degli sviluppi dell’indagine. Lecito chiedergli se il procuratore aggiunto fosse stato messo a conoscenza o meno della richiesta di archiviazione avanzata il giorno prima della riunione del 14 luglio 1992. La risposta è affermativa.

FAVA, presidente della Commissione. Lei non c’era, ma i colleghi che erano presenti fecero sapere a Paolo Borsellino che alcune posizioni sarebbero state archiviate?

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Glielo avevo detto io: «abbiamo deciso di concentrarci su quelle posizioni forti in modo da avere la legittimazione della Corte di Cassazione…». Il problema quale era? Archiviare venti posizioni che poi si potevano riaprire in qualsiasi momento, perché la archiviazione è momentanea? Si disse dell’archiviazione di mafia-appalti: ma quando mai è stata archiviata mafia-appalti?

Lo avevamo detto in premessa: è una storia complessa, quella dell’inchiesta mafia-appalti. Del contrasto tra il Ros e la Procura della Repubblica di Palermo, se ne occuperà negli anni, a più riprese, l’Autorità di Giudiziaria di Caltanissetta.

La vicenda si concluderà definitivamente soltanto il 15 marzo 2000 con l’ordinanza di archiviazione pronunciata dalla compianta dottoressa Gilda Loforti. È l’atto giudiziario che mette la parola fine allo scontro che il giornalista Felice Cavallaro racconta così in un suo pezzo.

La guerra fra un pezzo della Procura di Palermo e un’ala del Ros dei Carabinieri, la guerra che per anni ha fatto sussultare i palazzi delle istituzioni, è finita ieri pomeriggio al sesto piano del tribunale di Caltanissetta con una sofferta archiviazione… è stata Gilda Loforti, il giudice delle indagini preliminari, a decidere che non si farà un processo né contro il capitano Giuseppe De Donno, né contro Guido Lo Forte, il magistrato un tempo vicino al procuratore Pietro Giammanco, poi vice di Caselli, e adesso di Pietro Grasso… Non ci sono né vincitori né vinti

Ma perde certamente il pentito Angelo Siino, il “signore degli appalti” che è riuscito a trasformare in nemici De Donno e Lo Forte. Annullata, da una parte, la querela di quest’ultimo contro il capitano. E dall’altra, l’accusa di corruzione estesa, oltre che a Lo Forte, a tre suoi colleghi coinvolti dal ’91 in una telenovela giudiziaria dal canovaccio sempre più confuso: lo stesso Giammanco, Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci.

La materia dello scontro resta di una gravita assoluta. Il braccio di ferro ruota infatti sul nome della “talpa” che nel ’91 consegnò alla mafia e al leader democristiano Salvo Lima il rapporto dei carabinieri sugli appalti gestiti da Cosa nostra. La domanda ancora priva di risposta con questa archiviazione è semplice: chi fece uscire il dossier? I magistrati o gli stessi carabinieri?

Questo il commento finale del procuratore generale Scarpinato, nel corso della sua audizione dinanzi questa Commissione.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Una serie di falsità su questa storia è stata messa in giro proprio per creare un’artificiosa connessione di questa vicenda con la strage di via D’Amelio. Questo risponde all’interesse difensivo di alcuni imputati, e questo è pienamente legittimo, ma io credo che corrisponda all’interesse ulteriore di molti che hanno interesse a blindare la causale della strage di Via D’Amelio dentro Cosa nostra, tagliando fuori invece tutti pezzi deviati dei Servizi.

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