Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Per comprendere cosa accade dopo via D’Amelio e l’importanza del depistaggio che sposterà altrove l’attenzione dell’opinione pubblica, occorre tenere conto di un altro elemento che precede la strage: l’urgenza – per molti aspetti, come vedremo, incomprensibile - con cui Cosa nostra procede verso l’organizzazione dell’attentato. Sentiamo ancora il procuratore generale Scarpinato.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Sappiamo che c’è un’anticipazione anomala dell’esecuzione della strage di Via D’Amelio. Lo sappiamo anche dalle intercettazioni in carcere. Riina conversando con il suo compagno di detenzione dice che mentre la strage Capaci era stata preparata da tempo, la strage di Via D’Amelio era stata fatta alla giornata. «Qualcuno è venuto e ha detto: “bisogna fare questa strage!”», «Dammi un poco di tempo…», «Domani, domani, bisogna farla subito!». (…) Riina fa una cosa che non riesce a spiegare agli altri capi mandamento, i quali cominciano a capire che Riina sta facendo qualcosa che va al di là degli interessi di cosa nostra e che risponde a qualcuno.

L’ipotesi del procuratore Scarpinato

Via D’Amelio fu organizzata “alla giornata”, dice il procuratore Scarpinato. Un’urgenza che non partiva da Cosa nostra, dai suoi obiettivi, dalle sue utilità. Al contrario: per la mafia fu un’accelerazione del tutto controproducente.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. L’anticipazione della strage di Via D’Amelio è assolutamente suicida per l’interesse dell’organizzazione. Dopo la strage di Capaci era stato approvato il cosiddetto “decreto Falcone” che aveva introdotto il 41 bis e l’ergastolo ostativo. In Parlamento si era scatenata una dialettica molto forte ed era prevalente, come risulta dalle testimonianze in vari processi, una maggioranza garantista che era contraria a convertire in legge quel decreto che scadeva il 7 agosto. Ci hanno detto vari collaboratori che Calò aveva raccomandato a tutti di non muoversi e di stare fermi perché era altamente probabile che il decreto non venisse convertito.

Cosa fa Riina? Decide che non può aspettare i diciannove giorni che ci sono dal 19 luglio al 7 agosto e che la strage deve essere eseguita prima. A quel punto, riferirà il pentito Cancemi, gli altri restano estremamente perplessi. Ganci si apparta con Riina per parlare, ma Riina non riesce a dare spiegazioni che siano coerenti con gli interessi di Cosa nostra, taglia corto, dice: «mi assumo la responsabilità». Ganci esce da quell’incontro con Riina e dice: «questo è pazzo, porterà alla rovina l’organizzazione». Cancemi conclude: «abbiamo capito che lui aveva preso un impegno con soggetti esterni e che stava sacrificando gli interessi di Cosa nostra».

FAVA, presidente della commissione. Ma che cosa sarebbe potuto accadere tra il 19 luglio e il 7 agosto?

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Borsellino sarebbe andato a Caltanissetta, si sarebbe portato l’agenda rossa e avrebbe cominciato a mettere una dietro l’altro le cose che aveva capito. E lì scoppiava la bomba.

FAVA, presidente della commissione. …il filo di Arianna che aveva ricostruito.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. L’opinione che mi sono fatto è che Borsellino deve essere ucciso in quei 19 giorni perché ha capito che dietro la strage di Capaci ci sono entità esterne a Cosa nostra, ci sono spezzoni di Servizi, pezzi deviati dello Stato e annota tutto questo nella sua agenda rossa con uno sgomento che è progressivo e un senso di impotenza che è progressivo perché lui capisce che sarà la mafia ad ucciderlo, ma che ci sono entità superiori che lo decideranno, e dinanzi alle quali ritiene di non avere scampo… c’è un piano ed è un piano non soltanto di Cosa nostra, perché ci sono pezzi interni dello Stato dentro questo piano di destabilizzazione.

FAVA, presidente della commissione. Dunque Borsellino doveva morire. Subito.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Prima che dicesse: «guardate che qui c’è un piano di destabilizzazione, che non è stato fatto solo da Cosa Nostra ma da altri». Bisognava fermarlo, perché altrimenti saltava tutto il piano. Probabilmente, non ci sarebbero state neanche le stragi del ’93, perché il gioco sarebbe stato scoperto.

Se l’ipotesi del procuratore Scarpinato è vera (e tutto – nella rapidità con cui fu organizzata la strage del 19 luglio - conduce a pensare che sia vera) è importante capire cosa sia accaduto anche nei giorni immediatamente precedenti a via D’Amelio: non solo dentro Cosa nostra quanto, soprattutto, attorno a Paolo Borsellino. Perché è in quegli ultimi giorni che maturano definitivamente sia l’attentato che il depistaggio. Un depistaggio destinato non solo a deviare le indagini sulla morte del giudice Borsellino verso un vicolo cieco ma a condizionare, nei trent’anni successivi, la ricostruzione di ciò che accadde e del perché accadde.

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