Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


La decorazione per la sua «campagna di Sicilia» è una medaglia d’argento al valor militare. Carlo Alberto dalla Chiesa lariceve tre anni dopo, quando è già lontano da Corleone e dalla mafia.

A Firenze la sua famiglia diventa più numerosa: il 23 ottobre 1952 nasce Simona. Un periodo di serenità per i dalla Chiesa.

Uno dei pochi. Perché, dopo la Toscana, per il capitano comincia una girandola di trasferimenti. Como. Milano. Roma. Torino.

Non fa in tempo ad arrivare in una caserma che già c’è l’ordine di spostarsi in un’altra. In un anno i trasferimenti sono ben quattro. Sempre lontano dai figli e dalla moglie. La famiglia ogni tanto prova a seguirlo, i ragazzi cambiano città e insegnanti a metà anno scolastico. Il più delle volte se ne va via da solo.

Il «duro» carabiniere soffre il distacco dagli affetti, vive come un’ingiustizia i continui cambiamenti di sede, è smarrito, si sente emarginato dentro l’Arma, avverte che qualcuno – «in alto» – non lo apprezza. Anzi, fa di tutto per ostacolarlo e mortificarlo.

Confesserà molti anni dopo: «È stato il momento più difficile della mia carriera».

È in quegli anni che comincia un’appassionata corrispondenza con la moglie. Lettere d’amore e poi lettere sempre più malinconiche. Descrive il suo avvilimento per le umiliazioni, le privazioni, la mancanza dei suoi ragazzi, la difficoltà di arrivare alla fine del mese con lo stipendio. Deve farsi bastare i soldi per pagare un alloggio decoroso. Al Comando gli promettono quello di servizio, a Roma. Poi, però, glielo negano.

A Torino prende in affitto una camera «per 35-36 mila lire compreso il riscaldamento». Fa l’elenco minuzioso delle spese quotidiane: «Novecento lire per la mensa senza vino, la lavatura della biancheria, il giornale…».

È la vita più intima di Carlo Alberto dalla Chiesa che viene sconvolta nei primi Anni Sessanta. Intorno a sé ha il vuoto. Gira la voce che al Comando Generale lo detestino, dicono che è un «tipo pericoloso». Giovanissimi ufficiali vengono messi sull’avviso dai superiori: «Stategli lontano».

Come più volte gli accadrà anche in futuro, Carlo Alberto dalla Chiesa è solo anche dentro la sua Arma dei carabinieri.

Ma ubbidisce sempre. Per principio e per amore della sua famiglia.

Scrive alla moglie: «Ho subito tutto, tesoro, anche la flessione della spina dorsale per non fare dell’altro male a te e ai bambini; ho inghiottito senza reagire unicamente nella speranza che la nostra Madonnina ci proteggerà ancora e ci ridarà tutto il bene di cui siamo stati ingiustamente privati».

Dal nucleo di polizia giudiziaria della Corte di Appello di Milano alla IV° Brigata di Roma e, ancora, alla Legione «Allievi carabinieri di leva» di Torino. È il trasferimento più punitivo.

Per il maggiore dalla Chiesa non c’è pace. Ha quarantatre anni, una moglie e tre figli lontani. Si dispera per quella penitenza che deve scontare chissà per quanto tempo ancora.

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