Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

Al momento dal crollo dal fascismo, il latifondo siciliano si presentava intatto nelle sue caratteristiche fondamentali. Gran parte delle terre erano incolte o mal coltivate. La maggior parte delle grosse aziende (gli ex feudi) erano in mano ai «gabellotti».

Il movimento contadino siciliano si andava organizzando sotto le bandiere della Cgil. Gli agrari si rifiutavano di riconoscere le leggi agrarie dei governi antifascisti dei Cln, boicottavano i decreti Gullo e Segni che modificavano i riparti dei prodotti agricoli a favore dei mezzadri e quelli per l'assegnazione delle terre incolte.

Ma il primo scontro avvenne attorno ai «granai del popolo». Quando il Governo, per rifornire le città affamate, organizzò l'ammasso, gli agrari mobilitarono la mafia. E furono uccisi Andrea Raia, segretario della sezione comunista di Casteldaccia; D'Alessandro a Ficarazzi; Maniaci a Cinisi.

I decreti Gullo traevano origine dalla necessità di aumentare la produttività agricola. Si spingevano i contadini a seminare le terre incolte offrendo anche l'incentivo di una ripartizione più favorevole del prodotto. Si sviluppò così, dal 1944 in poi, e con un ritmo crescente, il più vasto e organizzato movimento contadino della storia della Sicilia. Sorsero centinaia di cooperative che chiesero in affitto le terre incolte o mal coltivate e avviarono un rilevante processo di trasformazione di vaste aree. Le lotte per l'assegnazione delle terre incolte e mal coltivate e quelle per un più equo riparto dei prodotti agricoli assunsero aspetti davvero drammatici.

Non vi è dubbio che il movimento contadino siciliano con la sua parola d'ordine «fuori il gabellotto dai feudi» abbia dato il via ad uno scontro frontale con la mafia.

Potrebbe, infatti, sorgere l'interrogativo se il gabellotto, come espressione di una borghesia «impedita nel suo sviluppo», non avesse diritto, anch'egli, ad uno spazio nel “processo di trasformazione del latifondo siciliano”. Era, infatti, inevitabile che il gabellotto, messo con le spalle al muro dai contadini, reagisse con tutta la violenza di cui erano capaci le cosche mafiose delle quali egli era espressione. Da qui la lunga catena degli eccidi di dirigenti contadini commessi in quegli anni.

Lo Stato copre assassini e mandanti

Il fatto grave è che l'apparato dello Stato si comportò sempre in modo da garantire l'impunità degli assassini e dei mandanti. La questione è decisiva e merita una spiegazione politica. Occorre, a questo fine, rispondere all'interrogativo: verso quali forze politiche si orientarono le cosche mafiose dopo il tramonto del Movimento separatista? Una parte si orientò verso i vecchi esponenti del trasformismo politico siciliano (liberali, monarchici, e qualunquisti). Una parte, invece, si orientò verso la Democrazia cristiana.

L'operazione venne iniziata già nel periodo in cui l'onorevole Salvatore Aldisio era Alto commissario per la Sicilia. Uomini come Aldisio, Milazzo, Alessi, Scelba e Mattarella, all'inizio, furono protagonisti di una battaglia di recupero su posizioni autonomistiche degli strati di piccola e media borghesia siciliana che avevano fatto la scelta separatista.

Aldisio diventò Alto commissario della Sicilia per conto del Governo nazionale dei Comitati di liberazione e impostò una spregiudicata azione per dare una base di massa al suo partito. Si manifestò subito, nell'azione dall'Alto commissario Aldisio, la doppia anima della politica che poi la Democrazia cristiana seguirà negli anni successivi: da un lato, un programma di riforme e di sviluppo democratico e dall'altro la ricerca di un compromesso con i ceti parassitari isolani.

Questa contraddizione trovò un nodo risolutore nella rottura dell'unità antifascista nella primavera del 1947. Quando mettiamo in evidenza questo aspetto nel rapporto fra Dc e cosche mafiose sappiamo che si è trattato di un rapporto che sii è modificato nel corso degli anni, avendo ampiezza e influenza variabili.

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