Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio di Giuseppe Insalaco, sindaco di Palermo ucciso il 12 gennaio del 1988 dopo aver denunciato a più riprese le collusioni tra politica e mafia.

Nell’estate 1984, parlando con il giudice Falcone, Tommaso Buscetta attenuerà e cesellerà ogni parola sui legami tra la mafia e la politica, dichiarando che è un terreno minato sul quale è facile saltare in aria. Insalaco, che è cresciuto in quel mondo, perché si mostra così imprudente?

Non può essere l’ambizione a muoverlo – e anzi sarebbe un buon motivo per tacere.

Il 24 luglio 1980 è diventato assessore all’Igiene e Sanità. È il premio per un notevole successo elettorale. Alle elezioni comunali di giugno è risultato il secondo degli eletti, il più votato dopo Nello Martellucci, l’avvocato che Salvo Lima ha scelto come sindaco. Su ottanta consiglieri comunali, in quella tornata elettorale, la Dc è riuscita a eleggerne trentanove. Ne recupererà presto altri due, fino a diventare il partito di maggioranza assoluta. Mai i consiglieri democristiani sono stati così numerosi. E mai la Dc sarà così debole, divisa.

Mentre, fra città e provincia, le famiglie di mafia si combattono a colpi di kalashnikov, nell’aula del Consiglio comunale le correnti democristiane si fanno la guerra a colpi di agguati segreti. Curiosa coincidenza.

La Palermo di Martellucci

Il sindaco Martellucci è un avvocato che parla in modo forbito, si preoccupa del verde e delle fontane, ordina che si rimettano in ordine le aiuole. Ha fama di persona perbene. E forse ha perfino voglia di cambiare le cose. Fa scelte di rottura. Per esempio, toglie alla Cassa centrale di Risparmio per le province siciliane la gestione della tesoreria comunale e la assegna alla Banca Nazionale del Lavoro.

Per il Comune è un affare: la Cassa di Risparmio pretendeva un aggio del 10 per cento per custodire i soldi dell’amministrazione; la Bnl offre gratis il servizio. Solo che nel consiglio d’amministrazione della Cassa c’è un consigliere di nome Vito Ciancimino che evidentemente non gradisce la decisione. E la Banca Nazionale del Lavoro deve fare una veloce retromarcia; scendere a patti con la banca siciliana e spartire la gestione della tesoreria.

Martellucci fa anche altro: s’impegna a rendere più trasparente una gara da settantacinque miliardi di lire per acquistare case da assegnare agli sfrattati, modificando il sistema d’appalto. Il risultato è che nessun costruttore presenta al Comune un’offerta, in una città che pure è affamata di lavoro. Poi il sindaco comincia a occuparsi del risanamento del centro storico, l’intervento che stava tanto a cuore a Margherita Bontade. Attenzione alle date: il 10 dicembre 1980 il sindaco chiede ai consulenti del Comune di presentare una relazione sul piano per il risanamento; una settimana dopo, nella sua casa di campagna a Giacalone, sulle colline a sud di Palermo, esplode una bomba. In una villa della borgata di Villagrazia quella bomba è un argomento di conversazione tra due mafiosi. Uno è Tommaso Buscetta, l’altro Stefano Bontate.

Buscetta racconta che Bontate è furente per l’attentato e commenta a voce alta: «Questo gran cornuto di Totò Riina se la prende con Martellucci solo perché non è amico di Vito Ciancimino». Secondo Buscetta, Bontate aveva una stima profonda, una vera e propria ammirazione per Nello Martellucci

È il ricordo di quell’esplosione a provocare in Insalaco l’ansia da «nuotatore scomposto» che Stajano avverte nelle sue parole? È la consapevolezza che la mafia sta stringendo al collo della politica un cappio che rende impossibile respirare? È un’ipotesi. Ma non spiega perché, nello schema disegnato dal giovane assessore, al vertice della piramide del potere ci sia la politica, non la mafia.

Per quale ragione ha detto a Stajano che è il potere romano, è Giulio Andreotti, a consegnare alla mafia il dominio sull’isola? Quando Stajano pubblica quelle confidenze, Andreotti è in disgrazia: indagato per mafia. Ma nel febbraio del 1981 è un leader potente a Roma e in Sicilia, grazie a Lima, onnipotente: un capo corrente che ha appena dovuto rinunciare alla presidenza del Consiglio, ma si è insediato alla guida della Commissione Esteri della Camera e sta per ottenere l’incarico di ministro degli Esteri.

Sono anni in cui Insalaco scalpita. Si capisce che vuol farsi notare. Lo fa con uno stile un po’ guascone, lo stesso che sfodera nell’incontro con Stajano. Da assessore all’Igiene, smaschera l’ipocrisia del circolo più esclusivo della città, il Lauria, facendo chiudere le cucine, e proprio la sera in cui il sindaco Martellucci è atteso per una cena di gala. Fa sbarrare le porte dell’Ufficio di Igiene perché troppo sudicio.

Ordina la chiusura di esercizi commerciali. Riesce a ottenere che la stampa si occupi continuamente di lui. E sui giornali si presenta come un politico diverso. Cerco di immaginarlo, questo quarantenne concitato che spiega i segreti della città marcia a un giornalista che sa ostile. Penso che c’è voluto del coraggio per fare quel gesto. Che cosa si aspettava, mi domando. Voleva candidarsi a essere una fonte attendibile per una grande firma? Era un sos lanciato da un avamposto perduto all’Italia distratta, incapace di reagire? O pesavano in lui la sensazione che qualcosa di nuovo stesse maturando, nell’insanguinato pantano della politica, e il desiderio di non restare indietro?

Se c’è un luogo dove la crisi del partito democristiano si è manifestata con la potenza di una profezia, temuta e inascoltata com’è delle profezie, questo luogo è la Palermo dei primi anni Ottanta. Insalaco lo aveva capito? È un movimento di cattolici, Città per l’uomo, a segnare la prima crepa nel monolite democristiano.

È stato tenuto a battesimo nelle stanze della Curia dal cardinale Salvatore Pappalardo. È possibile stabilire anche la data: febbraio 1980. Sette mesi prima, il 23 luglio 1979, celebrando i funerali di Boris Giuliano, capo della Squadra mobile, il cardinale ha citato nell’omelia un versetto del profeta Ezechiele: «Il paese è pieno di assassini». Ha detto che «troppi mandanti, troppi vili esecutori e favoreggiatori sono liberi e circolano alteri e sprezzanti per le nostre strade ed è difficile raggiungerli perché variamente protetti». Parole dure.

Il peso politico del cardinale Pappalardo

Il potere della città le ha ascoltate immobile come una maschera di pietra. Nulla è cambiato. E sono venuti altri agguati, altri cadaveri. Fino all’Epifania del 1980, quando un killer dallo sguardo gelido e dalla mira infallibile ha sparato a Piersanti Mattarella. Un mese dopo, la commissione sociopolitica della Consulta diocesana per l’apostolato dei laici si riunisce nel palazzo della Curia.

Discute delle elezioni per i consigli di quartiere, una novità assoluta, il primo passo del decentramento. Decide di far appello ai cattolici perché partecipino a quelle elezioni. Se non se la sentono di schierarsi tra i partiti esistenti, nulla vieta che si riconoscano in una nuova lista. È il battesimo del secondo partito cattolico: per la Dc, un incubo.

Padre Ennio Pintacuda racconta d’aver assistito al nascere di quel movimento e di aver custodito le correzioni autografe che il cardinale appose sul documento di nascita di Città per l’uomo E ricorda come Lima accorse dal cardinale, portandosi dietro il presidente della Regione, Mario D’Acquisto, per scongiurare la presentazione della nuova lista cattolica e come chiese anche a lui di intervenire per sentirsi rispondere: «Il movimento è autonomo».

Maliziosamente Pintacuda spiega che era stato lo stesso cardinale Pappalardo a suggerirgli quella risposta. La nascita di Città per l’uomo è il primo, sordo brontolio che annuncia la formidabile crisi destinata a concludersi negli anni Novanta con la scomparsa del partito democristiano.

Come gli animali sentono il terremoto in anticipo, così ci sono terre – e popoli – che avvertono con anticipo lo scorrere della Storia. La Sicilia è tra queste. È quest’inquietudine che Insalaco ha percepito? E la sua ansia da «nuotatore scomposto» era l’ansia di chi sente che la marea sta montando e vuole mettersi in salvo su una nuova riva?

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