Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

Dalla relazione della maggioranza risulterebbe che il punto di massima espansione della potenza della mafia in Sicilia sarebbe quello del governo regionale presieduto dall'onorevole Silvio Milazzo (14 mesi che vanno dall'ottobre 1958 al dicembre 1959). Si tratta di un falso storico.

La rivolta siciliana del 1958 è contro il sistema di potere arrogante, integralista, antidemocratico, clientelare e mafioso del gruppo dirigente fanfaniano in Sicilia.

In conseguenza della rottura del blocco agrario in Sicilia, a metà degli anni ‘50, si crearono nuove possibilità di inserire le forze della piccola e media borghesia siciliana in un rinnovato processo di sviluppo economico dell'Isola.

In quel clima si costituì in Sicilia il governo dell'onorevole Alessi (allora vicino a Gronchi), che ripropose, anche se con timidezza e contraddizioni, i temi dello sviluppo dell'autonomia, e per la prima volta, quelli di un piano di sviluppo economico regionale. Ma un tale disegno entrava in contraddizione con la strategia di espansione monopolistica nelle regioni meridionali.

Lo scontro si fece aspro e ravvicinato. Sulla base di tale scontro si determinò una profonda crisi e una differenziazione nelle forze sociali e negli schieramenti politici. Una crisi si aprì tra la Confindusttria e la direzione della Sicilindustria, quale organizzazione delle forze della borghesia imprenditoriale isolana che pretendevano di avere un ruolo determinante nel processo di industrializzazione della Sicilia.

Anche nelle forze del capitalismo agrario si manifestarono analoghi segni di crisi a causa delle scelte politiche del Mercato Comune Europeo e della fine del protezionismo granario (prezzo politico del grano duro, eccetera).

Più in generale, la strategia di espansione monopolistica riproponeva in quel periodo il problema della omogeneizzazione dell'apparato amministrativo e statale. Si imponeva anche un ricambio di tutto il personale politico incapace di adeguarsi ai «nuovi tempi».

L'ideologia per tale ricambio, dal 1955 al 1958, la fornì, anche in Sicilia, l'integralismo fanfaniano, che conquistò le leve di comando all'interno della Democrazia cristiana, con la velleità dì essere portatore di una politica di sviluppo e di rinnovamento.

In Sicilia, un mancato sviluppo democratico

Ma la contraddizione fondamentale era rappresentata dall'accettazione di un disegno esterno che si scontrava con l'esigenza di un reale sviluppo democratico. In particolare in Sicilia questi gruppi si mostrarono subito incapaci di intendere il valore dell'autonomia. Donde un più rapido loro scadimento a gruppi di potere, col risultato che, sull'onda del «fanfanismo», si fece avanti un nuovo personale politico specialista nell'arte del sottogoverno, spregiudicato e senza scrupoli, assetato di comando e ricchezza.

Tale personale si mostrò disponibile per un rinnovato tentativo di colonizzazione per una vera e propria subordinazione della Regione alla politica di rapina dei monopoli, secondo un disegno che era stato apertamente prospettato sin dalla fine del 1955 al convegno del Cepes di Palermo. (In quell'occasione si riunirono a Villa Igea, sotto la presidenza del professor Valletta, i più bei nomi della finanza italiana per dire no ad ogni ipotesi di programmazione economica regionale in Sicilia).

Venne rapidamente liquidato, pertanto, il governo Alessi. Al suo posto si insediò, nel 1956, il governo La Loggia, che si presentò immediatamente come il coerente interprete della strategia monopolistica e dell'integralismo fanfanismo.

Risulta evidente che in una realtà come quella siciliana, e in presenza del regime di autonomia, il disegno monopolistico doveva non solo scontrarsi con le forze avanzate della classe operaia e del movimento democratico ed autonomista isolano, ma scatenare una rivolta in settori importanti della borghesia isolana e nelle stesse file della DC. L’occasione venne dal tentativo di colpo di mano di La Loggia che nell'estate del 1958, battuto nel voto sul bilancio, rifiutava di dimettersi.

Nella lunga battaglia parlamentare caratterizzata dall'ostruzionismo delle sinistre, si aprì una profonda differenziazione nel gruppo parlamentare DC sino alla spaccatura aperta. Si arrivò, dopo una lunga crisi, alla elezione dell'onorevole Silvio Milazzo alla Presidenza della Regione e alla rivolta autonomistica del 1958-59.

La formazione dei governi Milazzo era sin dall'inizio limitata da condizioni negative (quali la convergenza sul piano parlamentare della destra missina, quasi subito peraltro riassorbita all'alleanza con la DC, e il carattere contraddittorio della linea politica e della formazione milazziana). Errori successivi — e deplorevoli elementi trasformistici e di provocazione — contribuirono ad offuscare il reale valore democratico e autonomistico di quella battaglia, favorendone sia incomprensioni, sia interessate falsificazioni.

Fu merito dell'onorevole Milazzo respingere il ricatto anticomunista in nome della causa autonomistica; fu suo limite ed errore il restare in parte impigliato nell'anticomunismo e nell'illusione che il collegamento con forze di destra potesse servire alla Sicilia. È naturale che in quel clima di profondo sommovimento della vita sociale e politica dell'Isola alcune frange mafiose abbiano cercato di trovare addentellati con esponenti del nuovo governo. Ma è un diversivo l'affermazione della relazione che quello fu il periodo di massima espansione del potere mafioso.

Lo schieramento di forze che si costituì attorno a Milazzo si dimostrò incapace per la sua insufficienza parlamentare e per la sua eterogeneità di governare la Sicilia. Si manifestarono ritardi nel capire i limiti di quello schieramento e si alimentarono illusioni su quello che era possibile fare in quelle condizioni.

Ma in quel breve periodo, sotto la spinta dei partiti di sinistra, furono attuate alcune esemplari iniziative antimafia: 1) la cacciata di Genco Russo e Vanni Sacco dai consorzi di bonifica; 2) l'inchiesta sull'Eras della Commissione presdeduta dal giudice Merra (agli atti della Commissione).

© Riproduzione riservata