Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Paolo Borsellino vuole ricominciare da lì. Da Marsala.

Candidati a quel posto di procuratore ci sono altri due magistrati. Tutti e due godono di una maggiore anzianità in magistratura. Uno è Giuseppe Alcamo, presidente di una sezione del Tribunale di Palermo. L’altro è Giuseppe Prinzivalli, presidente di Corte di Assise.

Il più giovane fra loro è proprio Paolo Borsellino. Ma è anche quello che, dopo quasi sei anni all’ufficio istruzione, ha accumulato una straordinaria esperienza in materia di indagini mafiose.

Il Consiglio Superiore deciderà a breve. Paolo Borsellino è in attesa.

Ma intanto a Palermo una sua inchiesta viene cancellata con una sentenza.

«Un brutto segnale per il maxi processo», scrivono sui giornali i commentatori di cose di mafia.

È l’istruttoria sul massacro di piazza Scaffa, otto morti ritrovati la notte del 18 ottobre 1984 in una stalla nei quartieri orientali della città. Macellavano clandestinamente senza l’«autorizzazione» dei boss di Ponte Ammiraglio e di Sant’Erasmo, gli Zanca e i Vernengo. Uno sgarro che provoca la strage.

Paolo Borsellino istruisce l’inchiesta sulle accuse della moglie di una delle vittime – Pietra Lo Verso – e di due pentiti, Vincenzo Sinagra e Stefano Calzetta.

Per la Corte di Assise, la denuncia della donna «è il risultato di uno scambio di idee fra comari». Ai pentiti non credono. Tutti assolti anche questa volta. Anche i latitanti Carmelo Zanca e Pietro Vernengo.

Il presidente della Corte di Assise è Giuseppe Prinzivalli, uno dei «concorrenti» di Paolo Borsellino alla guida della procura della repubblica di Marsala.

L’aula bunker è avvolta nel silenzio quando all’improvviso sento una voce: «Quel giudice ha coraggio da vendere: ha due

palle come il mio mulo di Ciaculli». Mi volto e vedo un sorridente Michele Greco aggrappato alle sbarre della sua cella. Sta commentando la sentenza con la quale – per la prima volta – una Corte lo ha appena assolto dal reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Con lui, altri 78 imputati vengono dichiarati innocenti. È il verdetto di un troncone del maxi processo, presidente è Giuseppe Prinzivalli, giudice intento solo a demolire tutte le inchieste del pool antimafia. Chiacchierato da anni per i suoi benevoli giudizi nei confronti dei boss della Cupola, Prinzivalli è «chiamato» da alcuni pentiti che raccontano di borse piene di soldi e di favori che non si possono rifiutare.

Condannato a 10 anni in primo grado per l’«aggiustamento» di processi, condannato a 8 anni in Appello, il presidente Prinzivalli viene graziato dalla Cassazione e poi ancora condannato da un’altra Corte di Appello. Ma è troppo tardi. Il reato contestato ormai è prescritto. Anche se viene accertato «il suo contrasto livoroso» per tutte le inchieste del giudice Falcone e la sua disponibilità «ad assecondare le richieste degli imputati di mafia».

Il mulo di Ciaculli non gli somigliava per niente

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