Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Si laurea nel 1962. Quell’anno muore anche suo padre. Lo vede spegnersi. Paolo Borsellino ha ventidue anni.

La farmacia ha bisogno di un titolare ma in famiglia non c’è.

Viene data in affitto per una cifra bassissima, in attesa che la sorella Rita prenda la laurea in farmacia. È un periodo difficile, di sacrifici.

Paolo racimola qualche soldo con le lezioni private, italiano.

Fa pratica nello studio di un avvocato. Intanto si prepara a sostenere gli esami per entrare in magistratura. Ci riesce un anno dopo. A ventitré anni è il più giovane giudice d’Italia.

Per uno di quegli strani giochi del destino finisce a fare l’uditore nella stanza di Cesare Terranova, il magistrato che l’ha prosciolto qualche tempo prima dall’accusa di rissa fra gli studenti di Giurisprudenza.

Comincia al «civile» ad Enna, al centro della Sicilia. Dopo due anni, nel 1967, è pretore a Mazara del Vallo. Va avanti e indietro, dalla mattina alla sera. In uno studio notarile conosce Agnese Piraino Leto, la figlia del presidente del Tribunale di Palermo.

Un anno dopo, nel 1968, Paolo e Agnese si sposano.

Da Mazara del Vallo a Monreale. Ancora in pretura. È il 1969. Sei anni tranquilli. Nel 1975 è a Palermo. Prima giudice di Tribunale e, alla fine dell’estate del 1975, giudice istruttore.

È una città addormentata Palermo. Sembra fuori dall’Italia. Brilla di luce propria. Si sente diversa, lontana. La sua magistratura affonda nel ventre molle di una Sicilia complice.

Ma l’uomo è quello che è. Giusto. Intransigente. Educato ai vecchi principi, cresciuto con il senso del dovere.

Rispettosissimo delle regole. E della legge.

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