Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attentato di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Il giorno dopo Paolo Borsellino chiama il nuovo procuratore di Caltanissetta. Gli fa sapere che è pronto ad affiancarlo, a collaborare subito per raccontargli tutto quello che ha saputo dal suo amico Falcone.

Gli dice anche che ha informato il Csm della sua disponibilità per un trasferimento a Caltanissetta: vuole buttarsi a capofitto, con un ruolo istituzionalmente riconosciuto, nell’inchiesta su Capaci. Anche nel dolore è pronto ad andare avanti. Indagare per rendere giustizia a Giovanni Falcone.

Passano pochi giorni e qualcuno dal Consiglio Superiore della Magistratura – presidente è Giovanni Galloni – comunica «amichevolmente» a Paolo Borsellino «l’inopportunità di una sua partecipazione alle indagini per il suo coinvolgimento emotivo». Il procuratore resta di sasso. Non ne parla con nessuno.

A Caltanissetta vengono inviati intanto alcuni sostituti procuratori da Catania e Messina, magistrati che non conoscono quasi niente di Cosa Nostra.

Borsellino è avvilito. E mette in fila cattivi pensieri: il Consiglio superiore che non lo vuole trasferire a Caltanissetta è lo stesso che, qualche settimana prima, si è violentemente opposto alla nomina di Falcone al vertice della Superprocura.

Paolo Borsellino capisce che nemmeno la strage di Capaci è servita a qualcosa.

Da alcuni giorni è sempre impegnato a riempire i fogli di un’agenda.

È di colore rosso, con lo stemma dell’Arma dei carabinieri in copertina. Lì dentro, probabilmente, ci sono tutti i segreti della morte di Giovanni Falcone. E anche altro.

Borsellino annota tutto. Incontri. Telefonate. Ordini che riceve dal suo capo Giammanco. Segna data e ora di ogni appuntamento con ufficiali dei carabinieri e funzionari del ministero dell’Interno, con giornalisti e avvocati. Meticoloso, riporta ogni particolare. Vorrebbe urlare al mondo quello che sa, ma aspetta.

Aspetta che i magistrati di Caltanissetta lo convochino per ascoltarlo. Un interrogatorio formale, vero, e non quelle due battute al volo scambiate nei corridoi. Aspetta una settimana. Aspetta due settimane. Aspetta inutilmente. Nessun magistrato di Caltanissetta si fa vivo.

Il testimone chiave della strage di Capaci, l’uomo più vicino a Falcone negli ultimi dieci anni, il depositario dei suoi segreti, il suo erede non sarà mai interrogato dai magistrati titolari delle indagini su Capaci.

Perché?

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