Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Dopo l’omicidio di Mario D’Aleo, a Palermo c’è paura di un’altra strage.

Gli apparati investigativi sono allo sbando. I funzionari della squadra mobile una mattina si ribellano, protestano a Villa Whitaker contro «i ministri di Roma». Davanti alla prefettura ci sono centinaia di poliziotti respinti a forza da altri poliziotti.

Il Palazzo di Giustizia è una sacca di veleni. Il presidente della Commissione Antimafia, Nicola La Penta, è in Sicilia con una delegazione di parlamentari per ascoltare i magistrati. Dopo tre giorni di audizioni annota nella sua relazione: «La Commissione ha potuto osservare negli incontri con i giudici siciliani atteggiamenti molto diversi. Vi è una larga fascia che fa il proprio dovere, senza però spingersi molto in avanti. Vi è anche qualche pusillanime. Ve ne sono quattro o cinque che dimostrano uno straordinario coraggio e ogni giorno rischiano la vita».

Sta parlando del consigliere Rocco Chinnici, dei giudici Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello. E di Paolo Borsellino.

Non passano due mesi dall’agguato di via Scobar e, il 29 luglio 1983, salta in aria anche il consigliere istruttore Rocco Chinnici.

Palermo è nel dramma.

Quella mattina Paolo Borsellino è nella sua casa in riva al mare, a Villagrazia di Carini. Squilla il telefono.

Il giudice sbianca in volto. Dice alla moglie come un automa: «È morto Rocco».

Rocco Chinnici è uno di famiglia. Arriva a casa loro senza annunciarsi. È affettuoso, protettivo. Per Lucia, la primogenita di Paolo e Agnese, è come uno zio. La settimana prima, è andata con Chinnici e sua figlia Caterina in gita a Pantelleria in elicottero.

Borsellino si ritrova ormai circondato da cadaveri.

Boris Giuliano. Emanuele Basile. Mario D’Aleo. Rocco Chinnici.

Si rintana nel bunker. Con Giovanni Falcone. Con Leonardo Guarnotta. Si immerge nelle indagini. Affoga fra le sue carte. Ha un debito d’amore verso gli amici che non ci sono più e verso se stesso.

«Chi te lo fa fare?», continuano a ripetergli conoscenti e colleghi.

Taglia rapporti, seleziona le frequentazioni, si fa sempre più guardingo. Si tiene vicino solo gli amici veri.

È un uomo diritto Paolo Borsellino, ha il culto della parola data, il senso dell’onore, è leale, generoso, sanguigno.

L’uccisione di Rocco Chinnici l’ha scaraventato in una Palermo sempre più minacciosa che nasconde tanti tradimenti.

Sfila come testimone davanti ai suoi colleghi di Caltanissetta che indagano sulla morte del consigliere istruttore, racconta gli ultimi giorni di Rocco Chinnici, trascina gli esattori Nino e Ignazio Salvo in un vortice. È solo anche in quel momento.

Molti magistrati palermitani «dimenticano» quello che aveva in mente Chinnici, le sue indagini sui potenti cugini di Salemi, la sua intenzione di indagarli per mafia. Borsellino riferisce ogni dettaglio, spiega tutto.

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