Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

Bisogna avere presente che sempre, nei momenti di crisi, il popolo siciliano ha riproposto la sua aspirazione all'autogoverno; nel 1860 come nel 1893 ed ora, nel 1943, al crollo del fascismo.

In realtà, il popolo siciliano vide nella caduta del fascismo il crollo dello Stato accentratore, poliziesco, protettore delle ingiustizie sociali; lo Stato che aveva detto sempre «no» alle sue aspirazioni all'autogoverno ed alla giustizia sociale. Ed è questa la componente sana, più genuina, dell'indipendentismo siciliano.

Certo, gli agrari, ancora una volta, fanno leva su questo sentimento per distorcerlo ai loro fini: essi temono, infatti, che dal crollo del fascismo sorga uno Stato nazionale diverso, in cui la classe operaia e le masse contadine (possano avere — come poi, in effetti, hanno avuto — un ruolo diverso; temono «il vento del Nord».

Giungiamo così al nodo del 1943: al punto fondamentale, cioè, della nostra inchiesta. Un rinnovato alimento la mafia lo ricevette dal modo in cui avvenne la liberazione della Sicilia nell'estate del 1943.

Nella loro manovra, gli agrari, all'inizio, si incontrano con le forze di occupazione angloamericane che, anche in Sicilia, si appoggiavano a gruppi sociali conservatori. C'è infine l'utilizzazione, da parte dei servizi segreti americani, del gangsterismo siculo-americano nella preparazione dello sbarco in Sicilia e l'insediamento di sindaci mafiosi in numerosi centri dell'Isola.

Tutto ciò venne favorito dalla debolezza dei partiti antifascisti in Sicilia e dalla mancanza di una lotta di massa per la liberazione. Ma la convergenza della mafia sulle posizioni separatiste durò poco: proprio perché la mafia deve appoggiarsi al potere politico, appena si rese conto che il Movimento per la indipendenza della Sicilia non aveva alcuna prospettiva di conquistare il potere, cambiò bandiera.

Una parte della mafia e del mondo agrario, quando si accorsero che il Movimento per l'indipendenza della Sicilia non aveva alcuna prospettiva di conquistare il potere nell'Isola, tornò ai vecchi amori col vecchio personale politico dello Stato pre-fascista, con i vecchi notabili che si erano schierati sulle posizioni del partito liberale e dei gruppi monarchici e qualunquisti che pullulavano in quel periodo.

L’esempio del boss Navarra

Di particolare interesse, a questo proposito, appare quanto si legge a pagina 74 della «Relazione sull’indagine riguardante casi di singoli mafiosi» pubblicata nella scorsa Legislatura (Documento XXIII, n. 2-quater, Camera dei deputati,V Legislatura): «II dottor Navarra, che era rimasto estraneo al fascismo, si schiera, secondo l'orientamento comune dei maggiorenti mafiosi dell'epoca, con il Movimento di indipendenza siciliana sin dal suo nascere».

Il movimento era, come è noto, appoggiato da tutta la mafia isolana e così il Navarra ne approfittò per consolidare i vincoli di amicizia e “rispetto” con gli altri capimafia dell'entroterra (Calogero Vizzini, Genco Russo, Vanni Sacco ed altri), incrementando, conseguentemente, il suo già alto potenziale mafioso e venendo tacitamente riconosciuto, per “intelligenza” e per essere uno dei più vicini alla capitale dell'Isola, quale influente esponente di tutta la mafia siciliana, ottenendo così non solo la stima ma anche la “deferenza” degli altri mafiosi di grosso calibro.

«Venuto meno il Movimento, il Navarra ed altri si orienteranno poi verso il Pli, partito al quale avevano dato le loro preferenze anche taluni grossi proprietari terrieri della zona. «Solo allorquando, dopo il 1948, la Dc apparve come di partito più forte, si assistette — sempre a titolo speculativo ed opportunistico — al passaggio in massa nelle file della Dc di grandi mafiosi, con tutto il loro imponente apparato di forza elettorale».

«Anche il Navarra non fu da meno degli altri capimafia e in Corleone e comuni viciniori (Marineo, Godrano, Bisacquino, Villafrati e Frizzi) attivò campagne elettorali e sensibilizzò le amicizie mafiose, onde dirigere ed orientare votazioni su personaggi ai quali, in seguito, si riprometteva di chiedere favori, così come ormai era nel suo costume mentale».

In questo quadro, non bisogna trascurare le grandi manovre che l'aristocrazia terriera siciliana compì alla vigilia del referendum del 2 giugno 1946: l’accordo sull’ipotesi di staccare la Sicilia dall'Italia, nel caso di vittoria della Repubblica, e di insediare in Sicilia la monarchia sabauda, come punto di riferimento per un ritorno vandeano verso il Continente. Da qui i collegamenti realizzati dai monarchici con il bandito Giuliano, fino alla strage di Portella della Ginestra.

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