Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

Per l'esercizio della sua attività la mafia come abbiamo dimostrato ha bisogno di ampi poteri negli enti e negli uffici pubblici. Perciò ha sempre cercato e spesso ottenuto protezioni politiche e, a volte, è riuscita ad inserirsi nella gestione diretta del potere politico e della pubblica amministrazione.

Citiamo alcuni significativi episodi che dimostrano il legame che la mafia ha stabilito all'interno dell’Eras. I fratelli Caramazza di Canicattì erano proprietari del fondo Graziani nel territorio ricadente tra Canicattì e Montedoro. Centosettantotto ettari di tale feudo cadevano sotto la legge di riforma agraria ed erano soggetti ad esproprio se non venivano trasformati.

Si trattava del cosiddetto sesto residuo rimasto ai proprietari espropriati con l'obbligo di attuarvi le trasformazioni di legge. I proprietari non erano riusciti ad attuare le trasformazioni. Non è un mistero per nessuno a Canicattì che i Caramazza non avevano potuto operare tale trasformazione agraria perché impediti dalla mafia.

L’Eras intervenne minacciando l'esproprio. Non va taciuto che questo, se non l'unico, è certamente uno dei pochissimi casi in cui l’Eras è intervenuto per imporre la osservanza delle leggi. I proprietari, anche se ora ovviamente negato tutto ciò, si vennero a trovare nella alternativa di essere espropriati dall’Eras o di vendere subito la terra a Giuseppe Genco Russo ed a Diego Gioia, noti mafiosi, che, nel frattempo, si erano fatti avanti per lo acquisto delle terre stesse. Non si sa se sono intervenuti altri personaggi influenti; comunque l'affare venne concluso con la vendita ai predetti mafiosi dei 178 ettari di terra. Pare che i prezzi stabiliti siano stati quelli che avrebbe pagato l’Eras con l'esproprio maggiorati del sei per cento.

Realizzato l'affare, Giuseppe Genco Russo si premura a ripartire le terre con gli altri soci; poi vende una parte dell'appezzamento rimasto di sua proprietà realizzando quindici milioni - cioè più di quanto aveva pagato per l'intera quota a lui spettante - quindi, presenta domanda al Banco di Sicilia per ottenere un mutuo che naturalmente gli viene concesso nella misura di trentacinque milioni di lire con l'interesse del tre per cento pagabili in trenta anni.

Non basta. Il Genco Russo chiede ed ottiene dall’Eras l’assegnazione di alcuni capi bovini che gli vennero concessi con la particolare facilitazione del contributo a fondo perduto dell'ottanta per cento. Negli anni 1958 e 59 l’Eras aveva in suo possesso - perché espropriato e non ancora assegnato ai contadini — l'ex feudo Riggiulfo esteso 335 ettari nel territorio di Mazzarino.

L'Ente dopo avere provveduto ad effettuare i lavori di motoaratura il cui costo si aggirava sulle venticinque mila lire per ogni lotto di tre ettari, affittò l'intero feudo al solito Giuseppe Genco Russo per due anni consecutivi per lire trentacinque mila annue complessive.

I relativi contratti furono firmati dall'allora presidente dell'Eras professor Zanini e dal direttore generale avv. Arcangelo Cammarata entrambi esponenti della Dc. È da aggiungere che le imposte e le tasse gravanti sul terreno rimasero a carico dell'Eras.

Gli interessi mafiosi a Mazzarino

Operazioni analoghe sono state compiute dall'Eras a favore di altri mafiosi: ai fratelli Cinardo di Mazzarino sono stati concessi in affitto 18 ettari dell'ex feudo Patumeni per lire 28 mila annue, rimanendo sempre a carico dell'Eras le spese di motoaratura e il pagamento delle tasse e delle imposte. Invece per alcuni appezzamenti residui concessi nella stessa zona ai coltivatori diretti l'Eras ha fatto pagare 35 mila lire per ogni lotto di tre ettari; a Mussomeli, l'Eras anzichè gestire in proprio i trattori di sua proprietà, ivi dipponibili, li ha affidati al noto mafioso Castiglione Calogero inteso “farfareddu”. Con questa operazione l'Ente non ha ricavato nulla dalla gestione- suoi mezzi ma, in compenso, ha pagato l'affitto dell'autorimessa ove i trattori quando erano inattivi sostavano per l'importo di 300 mila annue. Detta autorimessa è di proprietà di un cugino del Castiglione, certo Valenza; nel 1959 per l'acquisto degli animali da rivendere agli assegnatari di Mazzarino l'Eras si è servito di un gruppo di mafiosi di Canicattì col risultato che muli scadentissimi venivano fatti pagare agli assegnatari da 130 a 150 mila lire ciascuno.

La protesta degli assegnatari provocò una perizia del veterinario di Mazzarino, il quale stimò il valore dei muli in lire 70 - 80 mila ciascuno. Il procedimento legale che ne è seguito tra assegnatari e Eras si è concluso presso la pretura di Mazzarino con un verdetto favorevole per i contadini. Infatti è stato riconosciuto che il valore dei muli acquistati dall’Eras era notevolmente inferiore a quello corrisposto ai mafiosi di Canicattì.

L’Eras doveva procedere nel feudo Patumeni alla costruzione di un borgo rurale. Il tecnico dell'Eras propose un terreno esteso sette ettari valutandolo un milione e ottocento mila lire. Alcuni mafiosi di Mazzarino intervennero ed ecco i risultati: si reca sul posto il direttore generale dell'Eras, Cammarata; si sceglie per la costruzione del borgo una zona limitrofa di gran lunga peggiore e di minore estensione che viene pagata ben cinque milioni e cinquecentomila lire, esattamente cinque volte in più di quanto sarebbe stato pagato il terreno precedentemente periziato.

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