Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

Lo sviluppo della costruzione di opere pubbliche ha consentito a certi gruppi mafiosi di mettere le mani sugli appalti ed i subappalti, mediante legami precisi con il potere politico dominante, più specificamente con i partiti al governo.

Qui si va dalle guardianie dei cantieri (comprese le industrie Italcementi) alle assunzioni di mano d'opera che vengono operate, specie per ciò che riguarda la mano d'opera cosiddetta «specializzata», tramite il solito sistema delle raccomandazioni e dalle protezioni di stampo mafioso.

Permane il sistema delle tangenti ricattatorie, il cosiddetto «pizzo» ancora largamente praticato oltre che in questo settore anche nelle attività commerciarli e la partecipazione diretta di elementi notoriamente legati alla mafia alla gestione e conduzione dei lavori.

Al tradizionale e compatto gruppo dei costruttori di Favara, si va gradualmente sostituendo in questo settore la schiera degli speculatori di Agrigento che, bloccati nella città capoluogo a causa della vicenda della frana, hanno trovato sbocco in provincia.

La mafia agrigentina ha tentato recentemente un rilancio di tipo moderno con una operazione speculativa di carattere finanziario collegata con il sottobosco della finanza milanese del clan di Sindona e realizzata quasi interamente in provincia di Agrigento.

Gli interessi finanziari a Milano

Si tratta dell'«Interfinanziaria S.p.A.» con sede centrale a Milano, che riusciva ad aprire oltre 20 sportelli in provincia di Agrigento in piccoli comuni spoliati dall'emigrazione ed economicamente molto depressi.

All'improvviso la vecchia e nuova mafia si attivizzò e cominciò il reclutamento dei depositi: una vera e propria caccia ai risparmio di emigrati, ex possidenti, piccoli e medi proprietari di terre che, spinti dall'elevato tasso di interesse concesso (più del doppio del tasso praticato dalle altre banche!) e a volte da promesse di impiego nelle agenzie dell'Istituto, riversarono nelle sue casse più di 4 miliardi e mezzo di depositi nel volgere di poco tempo.

Un primo dato per dimostrare il collegamento diretto tra mafia e l'«Interfinanziaria»: gli impiegarti assunti, spesso senza i necessari titoli ed un adeguato grado di istruzione, erano quasi tutti figli o parenti stretti di esponenti mafiosi locali, i quali non avendo mansioni burocratiche da svolgere venivano utilizzati come ricercatori di clienti, data, appunto, la loro «influenza».

Per oltre un anno l'«Interfinanziaria» agì indisturbata allargando la propria attività nel campo turistico-alberghiero, dando inizio alla costruzione di un grande complesso nell'isola di Lampedusa, superando apertamente i limiti dell'autorizzazione concessale dal Ministero del tesoro e praticando operazioni bancarie non autorizzate.

Questi fatti hanno interessato il meccanismo di controllo della Banca d'Italia determinando la procedura di fallimento e di liquidazione della società e la incriminazione dal Consiglio di amministrazione per bancarotta fraudolenta. È da notare che quasi tutti i componenti del Consiglio di amministrazione erano siciliani e la maggior parte originari o residenti in provincia di Agrigento.

Discreti agganci mantengono tuttora alcuni personaggi legati alla cosca mafiosa dell'agrigentino con tutto il complesso sistema di potere burocratico-clientelare costituito dalla Dc ed estesosi con il centro-sinistra.

Sono frequenti i casi di immissione nei ruoli dei comuni e degli enti regionali, parastatali, eccetera, di personale raccomandato o protetto dalla mafia che sfrutta molto bene i legami che essa ancora mantiene con alcuni notabili Dc a livello provinciale e locale.

Particolari collegamenti con questi ambienti realizza, travalicando «talvolta i confini della provincia, l'onorevole Gaetano Di Leo di Ribera che, assieme all'onorevole Calogero Volpe di Caltanissetta, «amministra» i rapporti che il partito di maggioranza intrattiene con le cosche mafiose.

Sono frequenti, infatti, i loro interventi in situazioni locali allorquando si tratta di appianare contrasti o sistemare qualche affare interno all'organizzazione mafiosa relativi a controversie elettorali o a vicende amministrative di spartizione del potere e del sottogoverno.

Esistono situazioni dove il sistema di potere Dc fa tutt’uno con il sistema ed il metodo mafioso. E il caso di Cattolica Eraclea, medio centro dell'agrigentino, dissanguato dalla crisi, dalla disoccupazione e dall'emigrazione, dove tuttora opera una consistente organizzazione di mafiosi, collegata con Ribera, Montallegro, Siculiana. Qui il connubio tra sistema di potere Dc e mafia, seppure in una dimensione molto circoscritta, assume le caratteristiche di vera e propria simbiosi.

© Riproduzione riservata