Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

II presente memoriale è stato redatto col proposito di apportare un contributo di ricerca e di documentazione ai lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla mafia. La provincia di Caltanissetta è particolarmente interessata a tale inchiesta in quanto - come la pubblicistica più recente (Pantaleone, Navacco, Gajo, Romano) ha rilevato — la mafia operante in questa provincia ha assunto un ruolo di direzione a livello regionale, non senza collegamenti con la mafia americana.

Anche il dottore Umberto Guido, procuratore generale della Repubblica, nel discorso per l'inaugurazione dello anno giudiziario 1963 ha denunciato la gravita del fenomeno mafioso nella provincia di Caltanissetta. Ciò nonostante l'azione della polizia e dei pubblici poteri è stata sinora assai tiepida se non, addirittura, tale da incoraggiare le forze della mafia.

La funzione direzionale assunta dall'organizzazione mafiosa della provincia di Caltanissetta si è espressa in modo evidente in occasione dell'aggressione contro l'On. Girolamo Li Causi, compiuta a Villalba nell'ormai lontano 1944 dallo stesso capo mafia della Sicilia, Calogero Vizzini, che con quel gesto intese ribadire il compito principale costantemente svolto dalla mafia di difesa del latifondo e della gabella parassitarla e, più in generale, di Conservazione delle vecchie strutture economico-sociali.

D’altra parte l'azione violenta della mafia ha trovato una vivace opposizione nella lotta organizzata dei contadini, dei braccianti, dei minatori e di tutta la classe lavoratrice con la guida dei sindacati e dei partiti di sinistra per la conquista della terra, per le riforme di strutture e per il conseguimento di migliori condizioni di vita nelle libertà democratiche.

Gli episodi di violenza e di sopraffazione mafiosa riferita nel presente memoriale offrono l'immagine di una mafia che, in talune zone ad economia prevalentemente agricola della nostra provincia ha conservato, in parte, i suoi caratteri tradizionali mentre in altre si è venuta adeguando ai pur modesti mutamenti determinatesi nelle strutture economiche e sociali ed ha esteso la sua attività e la sua influenza nel campo imprenditoriale, nel settore dell'industria e del commercio all'ingrosso.

Ne risulta una configurazione abbastanza complessa e variamente articolata. Si può tuttavia affermare ohe gli attuali esponenti più autorevoli dell'organizzazione mafiosa appartengono alla borghesia agraria, al ceto imprenditoriale, alla categoria dei grossisti del commercio del bestiame e dei prodotti agricoli. Tutti comunque sono possessori di beni rilevanti per la conquista o l'incremento dei quali non hanno mai esitato a sovrapporre la loro legge a quella dello Stato, pur riuscendo spesso a celare le loro delittuose attività sotto una ingannevole apparenza di civile decoro.

In collegamento con costoro - talvolta in stretta dipendenza - opera una serie di personaggi minori molti dei quali sono riusciti in breve tempo ad accumulare cospicui patrimoni.

Lo scopo preminente dell'attività mafiosa è dunque quello dell'illecito arricchimento. A tal fine la mafia ha sempre adoperato come fondamentale strumento l'efficienza della propria organizzazione fondata sulla paura o l'ignoranza delle vittime, sulla debolezza e, talora sulla complicità dell'autorità pubblica e l'alleanza, o più direttamente, l'esercizio del potere politico usato ai fini di conservazione e reazione.

Ciò spiega perché la mafia ha sempre considerato come suoi irriducibili nemici i partiti e le organizzazioni sindacali che si sono battuti e continuano a lottare per la emancipazione dei lavoratori e per l'ammodernamento delle strutture economiche e sociali dell'Isola.

L’agguato a Li Causi

La figura nella quale convergono e si fondono tutte le caratteristiche tipiche del mafioso e che si è posta in Sicilia al vertice dell'organizzazione in questo dopoguerra è quella del fittavolo e proprietario terriero Calogero Vizzini, detto Don Calò, deceduto nel 1954. E' noto che il suddetto personaggio fu il primo sindaco di Villalba per decisione degli americani e fu anche nel contempo il capo riconosciuto della mafia di Sicilia.

A lui ed ai suoi accoliti di Villalba si deve, come abbiamo riferito nella premessa, il primo clamoroso episodio di violenza mafiosa nel dopoguerra: l'attentato cruento commesso durante un comizio dell'On. Li Causi allora segretario regionale del P.C.I. in Sicilia. L'avvenimento è ormai troppo noto perché ci si debba indugiare, in questa sede, a narrarne i particolari» A noi preme qui tuttavia, rilevare alcuni elementi di questa vicenda delittuosa per ricavarne le caratteristiche essenziali che ritroveremo pressoché costanti in tutto lo svolgimento successivo dell'azione mafiosa nel centro della Sicilia.

Esse possono identificarsi come segue:

1°) azione violenta della mafia in difesa delle strutture agrarie esistenti, e aperta intimidazione rivolta ai partiti politici, alle organizzazioni sindacali ed ai lavoratori della terra che ponevano l'esigenza della concessione della terra ai contadini;

2°) debolezza - in qualche caso connivenza - dei pubblici poteri di fronte alla mafia (si consideri che la polizia non procedette ad alcun arresto degli autori dell'attentato che pure erano chiaramente individuati e che il processo, finalmente istruito, si è trascinato per ben quattordici anni di Corte in Corte tra remore ed ostacoli di ogni genere, compreso lo smarrimento degli atti processuali;

3°) notevole capacità di intrigo e forza di pressione della mafia al punto di consentire ai responsabili della strage di non scontare nemmeno un solo anno di carcere e di riuscire ad ottenere persino la grazia del Presidente della Repubblica, per intercessione di forze politiche democristiane.

Questa vittoria della mafia sulla giustizia incoraggiò, ovviamente, tutta l'organizzazione a proseguire nella sua opera delittuosa con la certezza dell'impunità favorì il proselitismo delle nuove leve e intimorì tutti coloro che confidavano ancora nella forza del diritto e dei poteri dello Stato.

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