Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

Abbiamo accennato già, a proposito della strage di Portella della Ginestra, al ricatto e alla pressione che le forze del blocco agrario siciliano intesero esercitare, in quell'occasione, nei confronti della Democrazia cristiana perché all'indomani delle elezioni siciliane del 20 aprile 1947 andasse ad una rottura aperta con i partiti della sinistra.

Mentre lo Statuto preparato dalla Consulta regionale era stato il frutto di una intesa fra i grandi partiti antifascisti che erano allora nel Governo nazionale, dopo la Strage di Portella si formò un governo regionale minoritario democristiano con l'appoggio delle forze della destra monarchico-liberal-qualunquista.

La Democrazia cristiana, dopo Portella, cedette al ricatto del blocco agrario e anticipò in Sicilia la rottura dell'alleanza fra i grandi partiti di massa, che qualche settimana dopo si ripeté anche al livello nazionale. L'impianto della Regione siciliana venne attuato in quel clima e con quello schieramento che preparò in Sicilia le elezioni del 18 aprile 1948.

Nel corso di quella campagna elettorale furono compiuti alcuni dei più efferati delitti di mafia contro-esponenti del movimento contadino siciliano. Vogliamo ricordare in modo particolare tre episodi: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Li Puma a Petralia, Cangelosi a Camporeale, dirigenti contadini di queste tre zone fondamentali nella provincia di Palermo e Socialisti.

Perché tre socialisti? Gli assassinai si susseguirono a distanza di pochi giorni. Vi era stata la scissione Socialdemocratica e il movimento contadino in Sicilia restava, invece, unito; occorreva, dunque, dare un colpo al movimento e da parte della mafia si sviluppò una campagna di intimidazioni verso i dirigenti socialisti. L'assassinio dei tre fu un fatto simbolico; non a caso a difendere Leggio nel processo per l'assassinio di Rizzotto fu l'avvocato Rocco Gullo, allora massimo esponente della socialdemocrazia palermitana. Ecco perché il voto del 18 aprile, in Sicilia, vide tutte le forze conservatrici e parassitarne fare quadrato intorno alla Democrazia cristiana.

La repressione contro sindacalisti e contadini

Si creò un clima di terrore per ricacciare indietro il movimento contadino che aveva osato mettere in discussione il dominio del blocco agrario.

Il voto per la DC da parte di queste forze fu una ipoteca consapevole che si volle mettere sulla politica di quel partito (e quelle stesse forze erano pronte a ritirare la fiducia data, come faranno nelle elezioni successive, perché, se andiamo a vedere le oscillazioni dei voti per la Democrazia cristiana in certe zone della Sicilia, vediamo che il rapporto fiduciario fra queste forze e la DC non è un rapporto organico e le cosche decidono a seconda delle circostanze).

La situazione, però, in quel momento politico ha preso una china ineluttabile; dopo le elezioni del 18 aprile, infatti, si procedette in Sicilia al consolidamento dello schieramento di centro-destra al governo della Regione. Cadde il governo monocolore di Alessi, che era stato una sorta di governo di transizione (monocolore DC con appoggio liberal-qualunquista di destra) e si costituì il governo organico di centro-destra presieduto dall'onorevole Restivo, del quale entrarono a far parte come assessori gli esponenti più qualificati del blocco agrario e del sistema di potere mafioso.

Tale schieramento governò la Regione ininterrottamente per sette anni: dal 1948 al 1955; fu il famoso settennio « restiviano » dei governi del blocco agrario. Ecco, allora, la risposta all'interrogativo angoscioso del perché dell'inquinamento mafioso della Regione.

La Regione siciliana fu impiantata da uno schieramento politico che era l'espressione organica del blocco agrario e del sistema di potere mafioso.

Il decollo della Regione, la fondazione dell'autonomia richiedeva il contributo di tutte le componenti popolari che l'avevano voluta e che avevano preparato lo Statuto. La discriminazione che si aprì nel maggio 1947 verso la parte più avanzata e combattiva del popolo siciliano, che aveva dato un terzo dei voti (maggioranza relativa) al Blocco dei popolo, offriva lo spazio ad un sistema di potere fondato sul clientelismo, sulla corruzione e sulla mafia.

L'autunno del 1949 e la primavera del 1950 furono caratterizzati in Sicilia da una ondata di lotta per la terra di eccezionale portata. Decine di migliaia di ettari di terra vennero occupati dai contadini che in molti casi procedettero anche alla quotizzazione e alla semina dei fondi occupati.

Gli agrari contro la riforma 

È nota la violenza della repressione organizzata in quel periodo dal ministro dell'interno Scelba. In Sicilia centinaia di dirigenti e migliaia di contadini furono arrestati e condannati, in molti casi, a numerosi anni di carcere. Ma nonostante la repressione il movimento continuò a dilagare per molti mesi provocando, anche in Sicilia, all'interno della Democrazia cristiana il prevalere delle tendenze favorevoli all'attuazione di una riforma agraria.

Dopo un ampio dibattito, l'Assemblea regionale siciliana, il 27 dicembre 1950, approvò un'importante legge di riforma agraria che oltre a fissare il limite delle proprietà terriere a 200 Ha, imponeva agli agrari alcuni vincoli per la trasformazione delle terre che restavano di loro proprietà. Ma quella legge, varata in un clima drammatico, doveva essere apertamente sabotata e restare per cinque anni senza attuazione.

Fu scatenata dagli agrari siciliani un'«offensiva della carta bollata» per bloccare l'attuazione della legge. Ma quell'offensiva poté avere successo perché il governo regionale, presieduto dall'onorevole Restivo, fu ben lieto di assecondare la manovra degli agrari e dei loro avvocati. Intanto gli avvocati degli agrari erano noti esponenti della Democrazia cristiana siciliana come il professor Gioacchino Scaduto (allora sindaco di Palermo); il professor Pietro Virga (allora assessore ai lavori pubblici del Comune di Palermo); il professor Lauro Chiazzese, Rettore dell'Università, presidente della Cassa di Risparmio V.E. per le province siciliane, e segretario regionale amministrativo della DC; il professor Orlando Cascio, uomo di fiducia del ministro Mattarella.

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