Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

La Commissione parlamentare antimafia non può rifiutarsi — come fa la relazione di maggioranza — di trarre conclusioni politiche dalla drammatica vicenda della strage di Portella della Ginestra e dalla morte di Giuliano. È fuori dubbio che Giuliano, sparando a Portella della Ginestra il 1° maggio 1947 intendeva compiere una strage in occasione della Festa del Lavoro in una zona nevralgica della provincia di Palermo dove la Cgil e i partiti di sinistra si erano notevolmente sviluppati.

Tale strage si colloca in un momento decisivo della vita politica siciliana: all'indomani delle elezioni della la Assemblea regionale siciliana che aveva visto i partiti di sinistra, uniti nel Blocco del popolo, conquistare la maggioranza relativa dei voti e quindi il diritto ad assolvere ad un ruolo decisivo nel governo regionale, e mentre c'è la crisi dello schieramento antifascista sul piano nazionale e internazionale, e a Roma si apre la crisi di governo con l'obiettivo di escludere il Pci e il Psi dal governo per bloccare le riforme delle strutture economiche e sociali del Paese.

Risulta evidente che ad armare la mano di Giuliano furono forze collegate al blocco agrario siciliano (e anche a centrali straniere) che intendevano sviluppare un aperto ricatto verso la Dc per indurla a rompere con i partiti di sinistra in Sicilia contribuendo così ad accelerare anche la rottura sul piano nazionale. D'altro canto, la banda Giuliano diede un seguito alla sua azione terroristica, e dopo la strage di Portella, nelle settimane successive, si ebbero attacchi alle sedi del Pci e del Psi e delle Camere del lavoro in numerosi comuni del palermitano (S. Giuseppe Iato, Partinico, Monreale, S. Cipirello, eccetera) nel corso dei quali furono assassinati e feriti numerosi lavoratori. Più in generale, nella gran parte della provincia di Palermo si creò un clima di terrore che rendeva impossibile l'esercizio delle libertà democratiche da parte dei partiti di sinistra e della Cgil.

Una strage eversiva

Tale clima di terrore venne alimentato sino alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 che segnarono una profonda modifica dei rapporti di forza fra i partiti in tutti i comuni di influenza della banda Giuliano.

Prendiamo ad esempio i dati elettorali di Montelepre. Il 20 aprile 1947 (elezioni regionali), il Msi democratico repubblicano, la lista di Varvaro, prese 1.951 voti, la DC 719 voti, il Partito monarchico 114, il Blocco del popolo 70. Nel 1948 la DC passa da 719 a 1.593, i monarchici da 114 a 1.034, il Fronte democratico popolare, in cui è candidato Varvaro, prende soltanto 27 voti.

Occorre vedere, poi, le preferenze personali di Mattarella e degli altri che non erano della zona di Partinico ed esaminare come si impedì (ci sono i documenti in possesso dell'Antimafia) al Fronte democratico popolare di tenere una qualunque forma di propaganda elettorale in tutta la zona.

A trarre benefici dall'«intervento» elettorale della banda Giuliano, furono il Pnm da un lato e la DC dall'altro. Ciò spiega la difficoltà in cui poi si trovò il Governo nel dare conto al Parlamento e al Paese della morte di Giuliano.

Si verificò, in questa circostanza, un fatto enorme. Il Governo si servì della mafia per eliminare il bandito. Giuliano doveva essere preso morto perché non potesse parlare. Si creò, così, la messinscena della sparatoria nel cortile De Maria a Castelvetrano. Il Ministro dell'interno dell'epoca emanò un bollettino con cui si accreditava la falsa versione della morte di Giuliano e si promuovevano sul campo tutti i protagonisti dell'impresa. Il colonnello dei Carabinieri Ugo Luca venne promosso generale. Il prefetto Vicari fu promosso prefetto di prima classe e da li spiccò il volo sino a diventare Capo della polizia.

Ma bisognava anche impedire che la Magistratura aprisse una qualche inchiesta sui fatti e allora si pensò di « tacitare » il Procuratore generale di Palermo, Pili, che era alla vigilia di andare in pensione. Il presidente della Regione (che era allora l'onorevole Franco Restavo) si incaricò di offrire a Pili un importante incarico: al momento di entrare in quiescenza lo nominò consulente giuridico della Regione siciliana. E così il cerchio si chiuse.

Tutti gli organi dello Stato furono in verità coinvolti in una operazione che doveva servire ad impedire che si accertasse la verità sulle collusioni fra alcuni uomini politici e la banda Giuliano. Ma per raggiungere questo risultato si fece ricorso alle cosche mafiose che ne uscirono rafforzate e accresciute nel loro peso politico. Tale peso politico la mafia lo utilizza nel contrastare le lotte contadine per ila riforma agraria e il rinnovamento sociale della Sicilia.

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