Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.


I colpi esplosi dalla pistola di Rosario sono cinque, ma sono andati tutti a vuoto. Le pallottole sono rimbalzate su un muro. Gli assassini se ne sono andati «tranquilli», come erano venuti. Una moto e un’auto, mitragliatori e revolver. Sicari di mafia. Salvatore Cocuzza, Giuseppe Lucchese detto U’ Lucchiseddu, Nino Madonia e Pino Greco detto Scarpazedda.

L’ultimo, Pino Greco, poco tempo dopo viene strangolato in un magazzino sulla marina. Il primo, Salvatore Cocuzza, si pente e racconta che c’era anche lui, quel giorno, in piazza Generale Turba. E che l’ordine di uccidere Pio La Torre è venuto dall’alto: dallo zio Totò. Dall’alto. Dalla Cupola. Dal capo dei capi Salvatore Riina.

È sempre la Cupola a decidere sulla vita e sulla morte degli altri. Sono sempre delitti di «coppole». Come per quei quattro uomini che, la mattina del 30 aprile, sono tutti insieme intorno all’auto di Pio La Torre. Il commissario capo Ninni Cassarà. Il giudice Falcone. Paolo Borsellino. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Fermi e ripresi così, come statue, in una sola immagine che raccoglie tutte le pagine del romanzo nero di Palermo. Una foto. Loro e la berlina di Pio La Torre. Loro vivi. Ancora vivi. Chi ha ucciso Pio La Torre? La sua «legge» sul reato di associazione mafiosa? I grandi appalti di Palermo? I missili di Comiso? Le ipotesi sul suo omicidio si allungano da una parte e dall’altra, s’intrecciano, sbiadiscono.

Qualcuno, in un rapporto giudiziario, fa acrobazie lessicali per nascondere il niente: «È vittima per avere recato o potuto recare gravi pregiudizi ad una pluralità disomogenea di centri d’imputazione di interessi illeciti». Non si capisce nulla. Buio totale. Non s’indaga sul delitto La Torre. A Palermo c’è chi non vuole indagare. Dopo tanti tentativi che puzzano di ricatto, si arena anche l’inchiesta per le contiguità affiorate dentro il Pci. La pista «interna».

Sviscerata più volte nel corso delle investigazioni, si rivela per quella che è apparsa fin dall’inizio: una bufala. Una delle tante invenzioni sbirresche per depistare e confondere. «Pio non può essere stato ammazzato da un qualunque ladruncolo di cooperativa», si indigna la moglie Giuseppina. Delitto mafioso. Delitto politico. Delitto politico mafioso. È sempre così a Palermo. Omicidi eccellenti e mandanti invisibili. Solo loro, solo quelli di Corleone.

L’indagine del giudice Falcone

Il resto è mistero. È il giudice Giovanni Falcone a indicare un sentiero diverso: «Omicidi come quello di Pio La Torre sono fondamentalmente da ritenere di natura mafiosa, ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di un’organizzazione criminale, anche se del calibro di Cosa Nostra.

Qui si parla di omicidi politici, di omicidi, cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica: fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti ed inquietanti collegamenti». Mese dopo mese, Pio La Torre è rotolato in quel «disegno» criminale che lui stesso ha riconosciuto per primo al suo ritorno in Sicilia. È finito anche lui nella tonnara. Davanti a tutti e davanti a nessuno.

Per ventisette anni, dal 1949 al 1976, Pio la Torre è sotto sorveglianza dell’intelligence italiana come «agente sospetto di spionaggio a favore di un’organizzazione politica asservita agli interessi dell’Unione Sovietica». Gli agenti segreti lo pedinano, sono convinti che lui passi informazioni al Kgb. Riempiono schedari sui suoi movimenti, sui suoi incontri, sui suoi viaggi. Dopo un quarto di secolo sospendono la caccia. Un fantomatico reparto «D» del servizio militare ferma i controlli: «Dalla documentazione in nostro possesso, l’attività di La Torre non appare come conseguente a mandato conferito da servizio straniero».

Gli spioni certificano che Pio non è un agente sovietico. Ricominciano a tallonarlo quando torna in Sicilia, nel settembre del 1981. Giorno e notte. A Palermo. A Comiso. Nei paesi della Sicilia interna. A Roma. Ma una settimana prima del 30 aprile 1982 all’improvviso decidono che può restare solo. Senza testimoni. Chiedono i giornalisti al nuovo prefetto che si è appena insediato in Sicilia: «Perché, secondo lei, hanno ucciso Pio La Torre?». Risponde il generale Carlo Alberto dalla Chiesa: «Per tutta una vita».

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