Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


Il primo vero incontro con la mafia è in un processo dove l’imputato è Mariano Licari, un vecchio «uomo di rispetto» di Marsala. È sospettato di avere brigato per appropriarsi di alcuni beni ecclesiastici, gode di connivenze politiche, sullo sfondo del raggiro ci sono anche due omicidi.

Il sostituto procuratore Giovanni Falcone costruisce la sua inchiesta grazie a un testimone. Ma non riesce a concludere il dibattimento, i giudici popolari vengono minacciati, il processo spostato per legittimo sospetto a Salerno: Mariano Licari è assolto.

Falcone non dimenticherà mai le parole che, in aula, sente pronunciare al boss contro il testimone d’accusa: «Sei un carabiniere a cavallo». Il carabiniere a cavallo è l’espressione più alta dello Stato, l’insulto più feroce che può arrivare da un mafioso.

Dalla procura alla «Fallimentare», le prime avvisaglie di crisi del matrimonio con Rita, le gite a Favignana che si diradano, Trapani che gli sta sempre più stretta. Se ne va alla fine del 1978. Ci torna solo una volta, negli ultimi giorni di gennaio del 1983. Quando sulle colline di Valderice uccidono Giangiacomo Ciaccio Montalto, un magistrato tradito da magistrati che da solo ha provato a far giustizia nella città più misteriosa della Sicilia.

Giovanni Falcone ora è a Palermo. Ha quasi quarant’anni. Uno dei suoi primi incontri in quel Palazzo di Giustizia è con un giovanissimo sostituto procuratore della repubblica, Pietro Grasso.

In un suo libro autobiografico, Grasso lo ricorda così: “Ci trovammo a seguire la medesima indagine sul rinvenimento di un ciclomotore rubato. Un’inchiesta insignificante, dalla quale trassi, tuttavia, una grande lezione. Infatti questa istruttoria contro ignoti, destinata come migliaia di altre all’archiviazione, fu trattata da Falcone con lo stesso scrupolo con cui si indaga su un omicidio. Lui non solo riuscì a ricostruire il numero di matricola del motorino, che era stato abraso, ma ne individuò anche il proprietario, a cui lo restituì e fece perfino arrestare i ladri. Era una persona che prendeva a cuore anche le cose minime, che non trascurava gli interessi delle vittime dei reati, che manifestava una tenacia e un impegno eccezionali. Mi ero subito reso conto che era diverso da tutti noi, un fuoriclasse”.

Giovanni Falcone manca da Palermo da troppo tempo. Dopo la pretura di Lentini e la lunga permanenza a Trapani, ha perso quasi tutti i contatti e le vecchie amicizie. Nella sua città si sente quasi un estraneo. E adesso è anche solo. La storia d’amore con Rita è finita. Giovanni Falcone è deluso, malinconico. Sta per cominciare una nuova vita.

Alla sezione Fallimentare del Tribunale resta solo alcuni mesi. Rocco Chinnici lo chiama all’ufficio istruzione. Una mattina entra nella sua stanza e gli consegna il fascicolo su Rosario Spatola. Con quell’indagine Giovanni Falcone si rivela subito uno da tenere alla larga. Dentro il suo Tribunale è malvisto, circondato da rancori e paure. Troppi magistrati sono abituati a voltarsi dall’altra parte, troppi sono anche quelli che aggiustano sentenze, pilotano processi, insabbiano inchieste.

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