Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.

Da vivo perde quasi tutte le sue battaglie. Da morto è esaltato e osannato, il più delle volte dagli stessi nemici che ne hanno voluto le sconfitte.

Un’indagine come tante è all’origine del grande processo che segna l’inizio della fine per i padroni della Sicilia, un giudice come tanti diventa il magistrato più amato e più odiato d’Italia.

Sepolto in una piccola stanza dietro una porta blindata, in mezzo ai codici e alla sua collezione di papere di terracotta, è il primo a mettere veramente paura alla mafia.

Prigioniero nella sua Palermo, è l’uomo che cambia Palermo.

Detestato, denigrato, guardato con sospetto dai suoi stessi colleghi in toga, temuto e adulato dalla politica, resiste fra i tormenti schivando attentati dinamitardi e tranelli governativi.

Prima tremano per la forza delle sue idee, poi si impossessano della sua eredità. È celebrato come eroe nazionale solo quando è nella tomba.

Per tredici lunghissimi anni provano ad annientarlo in ogni momento e in tutti i modi. Per quello che fa o per quello che non fa.

Ci riescono alle 17.56 minuti e 48 secondi del 23 maggio 1992 su una curva dell’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi corre verso la città. A quell’ora, gli strumenti dell’Istituto di Geofisica e di Vulcanologia di monte Erice registrano «un piccolo evento sismico con epicentro fra i comuni di Isola delle Femmine e Capaci». Non è un terremoto.

È una carica di cinquecento chili di tritolo che fa saltare in aria Giovanni Falcone.

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