Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.


Quella mattina sono anch’io là, con il taccuino in mano e il cuore in gola. Saluto Giovanni Falcone, saluto Rocco Chinnici, non ho il coraggio di guardare Paolo Borsellino che è con le spalle al muro e si accende un’altra sigaretta con il mozzicone che ha già fra le dita.

Mi avvicino al commissario Cassarà e gli chiedo: «Ninni, cosa sta succedendo?». Mi risponde: «Questa è una città di cadaveri che camminano». C’è un fotografo sulla strada. Aspetta che loro, Falcone e Cassarà, Chinnici e Borsellino, siano per un attimo tutti vicini. Poi scatta. Ogni tanto mi capita di rivedere quella foto su qualche vecchio giornale. Dopo trent’anni, ho sempre un brivido.

Perché uccidono Pio La Torre? Probabilmente perché ha capito che la Sicilia sta cambiando padroni. È mafia quella che spara. Ma non è solo mafia quella che fa di Palermo una sconfinata tonnara. «È una città dove si fa politica con la pistola», dice sempre agli amici Pio La Torre.

È laboratorio criminale e terra di sperimentazione per accordi di governo da esportare a Roma, è porto franco, capitale mondiale del narcotraffico, regno di latitanti in combutta con questori e prefetti, onorevoli mafiosi e mafiosi onorevoli.

Palermo è sospesa in una calma irreale, lontana dalle inquietudini e dalle tensioni che in quegli anni attraversano l’Italia. Un mondo ai confini del mondo dove, all’improvviso, l’incantesimo svanisce.

C’è un nuovo patto fra il crimine delle borgate e delle stalle e quell’altro dei salotti e dei palazzi. Un patto per sacrificare qualcuno e salvare qualcun altro. È un’intuizione che porta Pio La Torre verso la morte. Pio La Torre è tenace, intransigente, fiero. È uno che non si piega mai. E poi dentro di sé, palermitano di una poverissima borgata, nasconde un gran sapere, ha i codici per decifrare ciò che sta avvenendo. E tutta l’autorevolezza per rappresentare quella Sicilia in tumulto su, a Roma: a Botteghe Oscure, ai dirigenti del suo partito, al parlamento. Pio La Torre è pericoloso. Parla due lingue. Sa tradurre il siciliano in italiano.

È questo il movente più probabile della sua uccisione. Il suo ritorno nell’isola – è il settembre 1981 – agita, dà fastidio. Lo conoscono. Lo temono. Lo fermano a colpi di mitraglia a pochi chilometri da dov’è nato.

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