Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.


«Palermo è bella, facciamola più bella», promette alla folla straripante il sindaco Salvo Lima, alla fine di un comizio. Lo stato maggiore della Dc siciliana è tutto schierato in piazza Politeama. Fasce tricolori, mani sudate, panze, fanfare, baci, mezze frasi sussurrate all’orecchio.

E, in mezzo a tutti loro, il cardinale Ernesto Ruffini che benedice i notabili e i mafiosi di Palermo. Alle spalle del sindaco c’è l’assessore ai Lavori Pubblici Vito Ciancimino, il figlio di un barbiere di Corleone che ormai è uno dei padroni della città. Pio La Torre li vede arrivare tutti e due sul palcoscenico della politica palermitana, Salvo Lima e Vito Ciancimino, il primo massiccio e con gli occhi da tigre e l’altro piccolo e smilzo con la faccia furba di un saraceno.

Li vede entrare per la prima volta al consiglio comunale, li vede iniziare l’irresistibile scalata che li porterà al potere per un trentennio. È il 1959 e da sette anni Pio La Torre è consigliere comunale a Palazzo delle Aquile. Ci resterà fino al 1966. Dopo la mafia del feudo comincia a conoscere quella dei mercati generali. E quella dell’acqua. E dell’edilizia.

A Palermo si costruisce dappertutto.

Fra le principesche residenze di tufo giallo, a San Lorenzo. Dentro i parchi. In via Libertà e in via Notarbartolo di notte, con la dinamite, fanno saltare le ville liberty e la mattina dopo aprono i cantieri. Buttano giù con le ruspe anche Villa Deliella, in piazza Croci, un capolavoro architettonico progettato da Ernesto Basile. La politica e gli affari si decidono tutti in via Sciuti numero 85 R. In via Sciuti numero 85 R c’è la casa di don Vito Ciancimino. È il «sacco» di Palermo.

In quattro anni il Comune concede 4205 licenze edilizie. In un solo mese ne rilascia 3011 a cinque pensionati nullatenenti: Salvatore Milazzo, Lorenzo Ferrante, Michele Caggeggi, Francesco Lepanto, Giuseppe Mineo. C’è una società che si accaparra tutti gli appalti pubblici. È la Va.li.gio, le iniziali di tre personaggi molto noti a Palermo.

Il primo è Francesco Ciccio Vassallo, un carrettiere che non sa nemmeno mettere la sua firma ma che all’improvviso diventa il primo costruttore della città e uno fra i primi contribuenti siciliani. Il secondo è Salvo Lima, il sindaco. Il terzo è Giovanni Gioia, sottosegretario di Stato alle Finanze e poi ministro della Marina Mercantile. Li chiamano i «giovani turchi». I mafiosi più potenti sono loro amici. Soprattutto due, i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera. Costruttori. È battaglia in consiglio comunale.

Pio La Torre è fra i banchi dell’opposizione, senza paura punta il dito contro i boss del cemento. Ogni epoca ha la sua mafia. Quella siciliana è sempre la stessa e sempre diversa. Si adatta, si trasforma, a volte si nasconde, a volte si mostra con violenza. A seconda delle sue necessità. Pio La Torre è il testimone oculare della prima mutazione mafiosa.

Dai campi di Corleone ai piani particolareggiati, le varianti, gli espropri, le zone agricole che diventano foreste di palazzi, mappe catastali falsificate, carte contraffatte. In Comune fanno ricchi se stessi e fanno ricchi gli amici mafiosi. Sono tutti d’accordo, quelli che comandano. C’è un partito «trasversale» che si spartisce il bottino. Palermo è stravolta.

Volta le spalle al mare. E si allarga a dismisura verso l’interno. Si progetta anche il suo futuro. Viale Strasburgo, via Svizzera, via Svezia, via Spagna, via Olanda, piazza Europa. Ogni abitante ha intorno a sé 285 metri di cubi di cemento – tre volte tanto i limiti di legge – e un metro e mezzo di verde.

Una casba moderna, fatta di torri e di grattacieli per accogliere l’esercito della Regione, migliaia di assunzioni pilotate, i quadri delle municipalizzate, i dirigenti degli ispettorati, gli impiegati del Banco di Sicilia.

Sono i figli e i nipoti della burocrazia isolana, una piccola borghesia invisibile e indifferente deportata in pochi anni in questa nuova Palermo silenziosa e ordinata, in apparenza isolata da quell’altra Palermo che ci macera nei suoi drammi. La prima inchiesta giudiziaria sul «sacco» di Palermo si apre venticinque anni dopo lo sfacelo. Nel gennaio del 1989 una requisitoria della Procura della Repubblica viene depositata alla cancelleria dell’ufficio istruzione. Girano voci che, all’ultimo momento, sono state tagliate una ventina di pagine dove «è più volte citato un potentissimo uomo politico siciliano».

Nessuno osa fare quel nome. Per caso, incontro fuori dal Palazzo di Giustizia un sostituto procuratore. Mi spiega cosa è accaduto: «C’è stato qualche colpo di lima…». Salvo Lima, nell’inverno del 1989, è europarlamentare a Strasburgo.

Il capo della chiesa siciliana, Sua Eminenza Ernesto Ruffini santifica la razzia: «Sono sorti a Palermo, per il popolo, quartieri che nulla avrebbero da perdere nel confronto con le città più progredite». Il cardinale inaugura cantieri e dice che «la mafia è un’invenzione dei comunisti» come Pio La Torre «per colpire la Democrazia Cristiana e la moltitudine dei siciliani che la votano».

Ma tace quando s’infiamma la guerra fra le «famiglie». Da una parte i Greco e dall’altra i fratelli La Barbera, Palermo come la Chicago degli Anni Trenta. Sulle strade raccolgono morti su morti, automobili imbottite di tritolo, sparatorie in pieno centro, assalti nelle case dei boss.

«Tanto si ammazzano fra di loro», si consolano in una città sempre più impassibile. L’arcivescovo di tanto in tanto fa visita al papa della mafia, Michele Greco, un signorotto che nella sua masseria - la Favarella, nella borgata di Ciaculli – riceve la «crema» di Palermo. Procuratori generali, presidenti di corte di appello, alti ufficiali dei carabinieri, questori, conti e principi. È in questa Sicilia brutale che Pio La Torre continua la guerra che ha cominciato a un passo da casa sua, Altarello di Baida.

© Riproduzione riservata