Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulle storie di Pio La Torre, di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sui delitti e sulle stragi di trenta e quarant'anni, che hanno sconquassato la Sicilia.


Lascia Altarello di Baida e scende in città, va a vivere in via Gaspare Palermo, in una palazzina fra la via Oreto e la stazione centrale, ospite della famiglia di Pancrazio De Pasquale, il segretario della Federazione provinciale del Pci. In quei mesi conosce una ragazza, Giuseppina Zacco, è figlia di un ufficiale medico dell’Esercito.

S’incontrano un pomeriggio al partito, lei ci va perché vuole la tessera del Pci. Pio chiede a Giuseppina: «Ma tu, l’hai letto L’emancipazione della donna di Lenin? Se vuoi la tessera, torna quando l’avrai fatto». Lei lo guarda e pensa: «È bello, bello assai: questo me lo devo sposare».

È alto, asciutto, i capelli crespi tirati indietro, occhi nerissimi. L’isola è dentro l’arroventata stagione dell’indipendentismo, la mafia punta tutto sulla «sicilianità», boss e agrari insieme a difendere il latifondo, i campieri, il bandito Salvatore Giuliano che scrive al presidente americano Harry Truman e sogna la Sicilia come una stella della bandiera americana.

Intanto «Turiddu» ammazza contadini e sindacalisti in tutti i paesi alle spalle di Palermo. I braccianti scendono dalle vallate di Pioppo e di Borgetto, vanno incontro alle cariche della sbirraglia, cavalcano i muli, sventolano bandiere, vogliono la terra.

Pio La Torre è nei campi. In mezzo a loro c’è anche Giuseppina. Mancano pochi mesi al sangue di Portella della Ginestra, il 1° maggio del 1947, undici morti e ventisette feriti, la prima strage dell’Italia repubblicana. Cadono uno dopo l’altro i segretari delle Camere del Lavoro del Palermitano.

Epifanio Li Puma a Petralia Soprana, Calogero Cangelosi a Camporeale, Giuseppe Casarrubea a Partinico. Sono già 37 i sindacalisti siciliani uccisi dalla mafia e dai sicari della banda Giuliano.

La sera del 10 marzo del 1948 scompare anche Placido Rizzotto, un ex partigiano che è il segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Il suo cadavere sarà ritrovato seicentoquarantaquattro giorni dopo in una foiba della Rocca Busambra, la roccia che domina il bosco della Ficuzza e il casino di caccia fatto costruire un secolo e mezzo prima da Ferdinando IV di Borbone.

Lo scheletro del sindacalista è recuperato nell’anfratto della montagna. È l’astro nascente della mafia di Corleone Luciano Liggio a ordinare ai suoi sgherri, i Criscione e i Collura, di ammazzarlo e di farne sparire il corpo. Lo sanno tutti in paese che è stato lui, Luciano Liggio.

Lo sa anche Pio La Torre che, qualche giorno dopo la scomparsa di Rizzotto, viene inviato dal partito alla Camera del Lavoro di Corleone. Lo scopre anche un giovane capitano di stanza nell’isola, un piemontese, che entra volontario nel Cfbr, il Comando Forze Repressione Banditismo.

L’ufficiale si chiama Carlo Alberto dalla Chiesa, dal settembre del 1949 è il nuovo comandante del Terzo Gruppo Squadriglie dei carabinieri di Corleone. Il primo incontro fra quei due uomini, Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa, avviene nel cuore della Sicilia. E nel cuore di una mafia che segnerà il loro destino.

© Riproduzione riservata