Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Insomma, l’intera dinamica proposta da Maurizio Avola suona falsa. In via d’Amelio quel pomeriggio non c’era nessuno travestito da poliziotto. E soprattutto non c’era lui, Avola.

Ma c’è altro nelle parole di collaboratore catanese: una riscrittura radicale (e assai tranquillizzante) della strage, una versione dei fatti e dei mandanti che vorrebbe ribaltare la ricostruzione processuale offerta in questi anni da Spatuzza che in più occasioni ha confermato la presenza di un estraneo a Cosa nostra attorno alla 126 imbottita d’esplosivo il giorno prima della strage.

La sentenza del Borsellino Quater

Su questo punto la Corte di Assise di Caltanissetta, sentenza Borsellino Quater, 20 aprile 2017,pp. 787 e ss.: «L’aspetto appena menzionato si colora di tinte decisamente fosche, alla luce di quanto riferito da Gaspare Spatuzza (in maniera assolutamente attendibile, come si vedrà -diffusamente- nella parte della motivazione a ciò dedicata), sulla presenza di un terzo estraneo a Cosa nostra al momento della consegna della Fiat 126, alla vigilia della strage, nel garage di via Villasevaglios, prima del suo caricamento con l’esplosivo. Su detta persona, non conosciuta e mai più rivista, che non aveva proferito alcuna parola, durante la breve permanenza del collaboratore nel suddetto garage, sabato 18 luglio 1992, Gaspare Spatuzza si spingeva a qualche considerazione relativa all’estraneità al sodalizio mafioso di Cosa nostra e, persino, sull’eventuale appartenenza alle istituzioni: “se fosse stata una persona che io conoscevo (…), sicuramente sarebbe rimasta qualche cosa (…) più incisiva; ma siccome c'è un'immagine così sfocata (…). Mi dispiace tantissimo e aggiungo di più, che fin quando non si sarà chiarito questo mistero, che per me è fondamentale, è un problema serio per tutto quello che riguarda la mia sicurezza (…). Io sono convinto che non sia una persona riconducibile a Cosa nostra perché (…) c'è questa anomalia di cui per me è inspiegabile”. “C'è un flash di una sembianza umana. (…) c'è questa immagina sfocata che io purtroppo... (…) c'è questo punto, questo mistero da chiarire”; “ho più ragione io a vedere questo soggetto in carcere, se appartiene alle istituzioni, che vedendolo domani fuori”. Peraltro, quest’ultimo spunto del collaboratore di giustizia, sull’eventuale appartenenza alle istituzioni del terzo estraneo, presente alla consegna della Fiat 126, nel pomeriggio di sabato 18 luglio 1992, prima del caricamento dell’esplosivo, veniva approfondito dalla Procura, nella fase delle indagini preliminari di questo procedimento, sondando ulteriormente Gaspare Spatuzza, e anche sottoponendogli diversi album fotografici, con immagini di vari appartenenti al Sisde, senza approdare a risultati tangibili». Sul punto cfr. pure Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, sentenza Borsellino Quater, 15 novembre 2019, p. 208.

Il racconto di Avola nel libro di Santoro

Sentiamo cosa afferma Avola nel suo racconto a Michele Santoro.

(AVOLA) “L’ordine delle stragi lo ha dato Riina. Nessun servizio segreto. Borsellino e la sua scorta li ha uccisi Cosa Nostra…”

Ed ancora:

(AVOLA) “Sono io che ho preparato l’autobomba. Ho lavorato in quel garage per collegare la centralina all’esplosivo. Non c’era nessun servizio segreto”.

Insomma, non esiste alcun fantomatico uomo dei servizi segreti nel garage in cui la 126 viene preparata per via D’Amelio; non ci sono presenze “forestiere” nella preparazione e nell’attuazione dell’attentato; non ci sono altri mandanti, né moventi occulti: solo Cosa nostra, il desiderio di Riina di sbarazzarsi dei suoi nemici storici, Falcone e Borsellino. Una storia di mafia, nient’altro che mafia. Lo certifica lui, Avola: “Sono io che ho preparato l’autobomba!”. Punto.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Avola racconta una storia estremamente dettagliata, per cui è arrivato a Palermo dove è stato impegnato venerdì, sabato e domenica, poi invece si scopre che lui sabato stava a Catania con un braccio ingessato… Racconta una storia che sembra la quadratura del cerchio, tutti i dubbi vengono fugati, compresi gli infiltrati perché era lui il soggetto esterno che Spatuzza notò… e quindi il cerchio si chiude, non c’è nessun mistero nella strage di via d’Amelio.

Sabato sera, con il braccio ingessato a Catania; domenica pomeriggio, con la divisa da poliziotto in via d’Amelio. Basterebbe questo ossimoro, assieme alle altre incongruenze citate, ad archiviare la vicenda come l’effetto di un’improvvisa ansia di protagonismo, una tardiva vanità di Avola che lo porta, mentendo, a collocarsi sul teatro del più atroce eccidio di mafia della nostra storia: è lui il mafioso incaricato di preparare la 126, il testimone diretto della strage, l’ultimo a guardare negli occhi il giudice prima di dare il segnale…

Eppure il procuratore Scarpinato parla di depistaggio, non di semplice vanità.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo: Avola è quello che fin dall’inizio della sua collaborazione ha detto delle cose importantissime sulla riunione di Enna, che dimostrano esattamente il contrario. Poi però nel libro non racconta assolutamente di Enna e racconta invece di una riunione a Castelvetrano in cui si disse solo che bisognava “rompere le corna a Falcone”. Com’è possibile che Avola non dica quello che ha messo a verbale e che ha ripetuto sempre in tutti i dibattimenti?

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