Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia e il cui numero cresce di anno in anno. Dal 1961 si contano circa 1031 vittime innocenti.

"Era settembre, faceva caldo, poi aveva piovuto e l'aria si era rinfrescata. La sera pareva una festa, la gente era tutta fuori, c'era un popolo in strada. [..] Mi volto, entro nel bar, prendo il bicchiere, e, come in un film, vedo saltare tutte le bottiglie davanti a me. Non mi rendo conto di che cazzo sta succedendo. Capisco che stanno sparando, bevo il whisky in un unico sorso, e mi affaccio mentre stanno ancora sparando. [..] Vedo una trentina di persone che mi sembrano morte, perché erano svenute, stese a terra, ferite."

Sembra quasi l’inizio di un suo romanzo e invece, la scena descritta da Camilleri racconta quella che poi sarà ricordata come la prima strage di Porto Empedocle, nella quale lo scrittore ne fu testimone oculare.

Il 21 settembre del 1986, in un bar in pieno centro, la gente stava assaporando l’ultimo giorno di fine estate. Quando d’un tratto, in via Roma ci fu un blackout elettrico e nel buio a far luce furono le scintille di arma da fuoco che all’impazzata colpirono i clienti del locale. Quella sera persero la vita sei persone: quattro esponenti della Stidda e due innocenti: Antonio Monreale, seduto al tavolo del bar con la moglie, e Filippo Gebbia colpito mentre era sul corso, assieme alla propria fidanzata.

Filippo fu trasportato d’urgenza all’ospedale in condizioni gravissime ma morì dopo un giorno di agonia a soli trent’anni.

Gli assassini lo avevano scambiato per un amico della famiglia Grassonelli, vero bersaglio dei killer. La strage nacque proprio dai dissensi tra questa famiglia e quella dei Messina, una guerra per la supremazia tra Cosa Nostra e stiddari, per controllare il business della droga.

Una guerra ingiusta combattuta fra mafiosi ma che lascia ancora una volta sulle strade sangue innocente. Filippo era un giovane ragazzo allegro e socievole. Una persona sensibile, premurosa e attenta al prossimo tanto che dedicava il suo tempo libero al volontariato nella parrocchia. Si era laureato in chimica e, dopo anni di ricerca, aveva trovato lavoro come dottore chimico in una casa farmaceutica. Aveva fatto la proposta di matrimonio alla fidanzata e stavano organizzando i preparativi per la cerimonia, progettando la loro vita insieme.

Filippo, come altre vittime “innocenti”, sembrava pagare quella “colpa” di essere nato e cresciuto in un territorio che la mafia sentiva suo di diritto. 

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