Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia e il cui numero cresce di anno in anno. Dal 1961 si contano circa 1031 vittime innocenti.

L’Autostrada del Sole è una strada sporca di sangue. Si divincola irretita tra le maglie di quelle faide mafiose ‘ndranghetiste affamate dei suoi appalti e che tanto pietrificano i paesini tranquilli del Meridione, abbracciati da un lato dall’Aspromonte e schiaffeggiati dall’altro lato dal mare.

Ecco Seminara, luogo di silenziose trame e guerre, nella piana di Gioia Tauro – già terra sconvolta da deragliamenti volontari, così come fu per quel treno comunemente conosciuto col nome di, ironia della sorte e comunanza di destini, Treno del Sole. Attualmente poco più di duemila abitanti, un passato di battaglie cinquecentesche e di accordi segreti che rendevano il Mezzogiorno ancora proprietà spagnola e francese.

È così che nelle case di una Seminara del 1974, quando ancora gli abitanti sono circa cinquemila, le rocce tremano all’invocazione altisonante di certi cognomi. I Gioffré e i Frisina-Pellegrino, infatti, si portano dietro uno strascico pesante, spietato e rumoroso, che ha il suono del ferro della lupara che sfrega contro la fibbia della cintura. E quel tintinnio di metalli non è l’unica interferenza in una piacevole serata settembrina calabrese di un comune 11 del mese, in cui ciascuna famiglia si riunisce per la cena e mette poi a letto i bambini.

Giuseppe Bruno è un figghiolu di Seminara come tanti, la sua età neanche si conta ancora in anni: ha giusto 18 mesi ed è così leggero che può stare ancora a cavalcioni sulle spalle del papà Alfonso, che in quella sera non ancora autunnale si avvia alla camera da letto. È buio nella stanza, ma se alcune luci stanno per accendersi altre si spegneranno per l’eternità.
Ecco qui la sequenza dei fatti: alla finestra la sagoma del genitore che porta sulle spalle come un trofeo il suo pargolo, il dito adulto sull’interruttore innesca il processo inarrestabile che vede un assassino premere il grilletto.

Gli occhi da carnefice, nascosti dietro un cespuglio, individuano il padre e il figlio rischiarati dalla luce della lampadina e, mirando alla testa, ecco arrivare il proiettile fatale. Alla luce elettrica che rende gli oggetti nitidi nella stanza, si contrappone l’offuscarsi degli occhi di Giuseppe che “rimase per sempre un bambino in potenza”. Non più favole e versi di chi per la prima volta si affaccia alla vita nuova di creatura umana, ma solo mani sporche di sangue e strazio su quel corpicino spento, che aveva salvato suo padre dall’esecuzione mafiosa.

La faida 

Alfonso, camionista saltuario e sospettato di vicinanza ad un clan di ‘Ndrangheta, stringe tra le mani suo figlio ormai cadavere. Alfonso era probabilmente vicino ai Gioffrè, famiglia coinvolta in una faida contro la cosca dei Frisina-Pellegrino. Ma la sua colpa di amicizia ‘ndranghetista, che fosse stata essa presente o passata, non può conoscere alcun purgatorio ed egli deve invece espiare le sue colpe con il contrappasso più infernale: sacrificare suo figlio, vittima di quelle faglie dell’Aspromonte infuocate dalla “faida di Seminara”, che aizza le due suddette famiglie.

Da dove viene tanto astio? Arriva addirittura dal 17 settembre 1971, quando un Frisina, parente dei Pellegrino, offese uno dei Gioffrè ricevendo da lui l’umiliazione di uno schiaffo. La reazione del Frisina fu talmente violenta da condurlo a sparare contro il figlio di Gioffré, ferendolo gravemente. Ed è in questo momento che la faida ha inizio e si porta dietro la striscia sanguinolenta di più di quindici morti, rimasti irretiti nelle lotte territoriali delle famiglie rivali e negli intrighi meschini e mortali dell’assegnazione degli appalti.

Qui finisce la fulminea parabola esistenziale del piccolo Giuseppe, raggiunto poco tempo dopo anche dal soccombere di suo padre.

Una guerra piena di tanti morti e di nessun vincitore, così come per tante guerre. La flebile vita di Giuseppe ha il valore di uno schiaffo dato sul viso sbagliato. Però la storia insegna, si sa, che si deve sempre porgere l’altra guancia. Ma solo per dare a noi la possibilità di colpire ogni mafia in pieno volto.

© Riproduzione riservata