Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


Tommaso Buscetta, uno dei più influenti mafiosi di Palermo, uomo chiave del traffico internazionale di stupefacenti, una vita avanti e indietro con l’America – è soprannominato «il boss dei due mondi» – arrestato a Palermo e scarcerato, arrestato sul ponte di Brooklyn e rimesso in libertà, arrestato in Brasile e pronto per l’estradizione in Italia.

È il 15 luglio quando su un Boeing 747 che lo sta riportando a Roma, don Masino tenta il suicidio. Poi decide di vuotare il sacco con Giovanni Falcone. Parla per 45 giorni in una stanza della Criminalpol di Roma. Racconta fatti, personaggi, affari, omicidi, ricatti, vergogne. Vent’anni di mafia. La sua confessione riempie 329 pagine. Il giudice scrive tutto con le sue stilografiche. Non fa verbalizzare a nessuno. Non si fida di nessuno. E non trapela nulla all’esterno.

Tommaso Buscetta da grande mafioso si trasforma nel grande pentito di Cosa Nostra – «Dottore Falcone, noialtri la chiamiamo...Cosa Nostra e non mafia...», gli dice – e rivela migliaia di nomi di affiliati, spiega la divisione che c’è fra le «famiglie» di Palermo e i Corleonesi di Totò Riina, riferisce i retroscena di centinaia di delitti, ricostruisce quello che è accaduto nella Sicilia mafiosa dalla strage di Ciaculli del 1963 in poi. Soprattutto, a Falcone consegna la «chiave» per decifrare il suo mondo. Dopo don Masino, ne arriveranno molti altri a infrangere il muro dell’omertà.

È il primo mito mafioso che crolla. Il pentito affida la sua vita nelle mani di un giudice che è siciliano come lui, che lo capisce con uno sguardo, che sa interpretare anche i suoi silenzi, che da un gesto intuisce uno stato d’animo.

Falcone crede a Tommaso Buscetta. Sa che non ha detto tutto, ma sa che quello che ha detto è tutto vero. Buscetta non si sente un traditore. Si sente tradito dalla «sua» Cosa Nostra che non c’è più, sopraffatta da Totò Riina. Il suo pentimento fa tremare Palermo.

Prima di iniziare il suo racconto, Tommaso Buscetta avvisa il giudice al quale sta per depositare tutti i suoi segreti: «Non credo che lo Stato italiano abbia veramente intenzione di combattere la mafia. L’avverto, dottor Falcone. Dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non se lo dimentichi: il conto che ha aperto con Cosa Nostra non si chiuderà mai». Per la prima volta Cosa Nostra è nuda agli occhi del mondo. Tutti gli schemi investigativi precedenti saltano, le inchieste subiscono uno sconvolgimento, i boss sono atterriti da Buscetta e si preparano al peggio.

Falcone ordina a Gianni De Gennaro 3600 riscontri. Settantacinque giorni dopo quel 15 luglio, il consigliere Antonino Caponnetto, i giudici Falcone e Borsellino, Di Lello e Guarnotta firmano 366 mandati di cattura, contestano 300 reati, fanno luce su 121 omicidi. È il primo pilastro di una gigantesca istruttoria di 8067 pagine, il processo «all’organizzazione denominata Cosa Nostra, una pericolosissima associazione criminosa che, con la violenza e l’intimidazione, ha seminato e semina morte e terrore».

Giovanni Falcone s’inabissa negli inferi mafiosi e non ne esce più. Scopre un mondo di logica implacabile, un sistema di potere che è quasi Stato. Racconta alla giornalista Marcelle Padovani: «Prima di Tommaso Buscetta non avevamo che un’idea superficiale di questo fenomeno. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi dentro, ci ha fornito numerose conferme sulla struttura, tecnica di reclutamento e funzioni di Cosa Nostra, ma soprattutto ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del fenomeno.

Ci ha dato una chiave di lettura essenziale, un linguaggio, un codice. È stato per noi come un professore di lingue che ti permette di andare con i turchi senza parlare con i gesti. Ci ha insegnato un metodo. Senza un metodo non si capisce niente. Con Buscetta ci siamo accostati all’orlo del precipizio, dove nessuno si era voluto avventurare, perché ogni scusa era buona per rifiutare di vedere, per minimizzare, per spaccare il capello e le indagini in quattro, per negare il carattere unitario di Cosa Nostra».

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