«Aiuto, non respiro, non ce la faccio, aiutatemi». È il 13 aprile e Daniela, 61enne di Cosenza, invia un messaggio vocale a un’amica. La settimana precedente aveva scoperto di essere positiva al Covid-19, pochi giorni dopo essersi vaccinata. Daniela non sa se era già infetta prima della vaccinazione o se ha contratto il virus mentre il suo sistema immunitario si stava ancora adattando alla malattia.

Dopo il tampone, la sua salute è peggiorata, ma la prima volta che ha provato a farsi ricoverare gli operatori del pronto soccorso l’hanno sconsigliata: «Non ci sono posti, la terrebbero in pronto soccorso ed è peggio, cerchi di resistere, ma a casa». Dopo il suo messaggio, Daniela è stata finalmente portata in ospedale.

Situazione critica

La storia di Daniela, che fa l’insegnante e preferisce non essere identificata con il suo cognome, è comune a migliaia di altri calabresi in questi giorni. Mentre il resto d’Italia si prepara a riaprire, in Calabria l’epidemia rischia di andare fuori controllo. Nell’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di sanità, la regione era l’unica a risultare a rischio «alto» e in cui si segnalavano «molteplici allerte di resilienza» del sistema sanitario locale.

Cosenza è la città dove la situazione è più drammatica. «Fino a pochi giorni fa avevamo un 40 pazienti Covid-19 nell’area del pronto soccorso», spiega Franco Cesario, Covid manager dell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Nella regione quasi il 50 per cento di tutti i posti letto disponibili in ospedale sono occupati da malati Covid-19, dieci punti in più della soglia d’allarme. «Abbiamo dovuto dare l’ordine di interrompere il flusso del 118, perché c’era la fila di ambulanze e non sapevamo più dove mettere i pazienti».

Quando Daniela è arrivata in ospedale ha trascorso ore in un tendone pre triage. Poi, alle 22, è stata portata in pronto soccorso. Le hanno fatto una tac e il resto della notte l’ha trascorso attaccata all’ossigeno, su un lettino senza cuscini, con appena una coperta per ripararsi dal freddo.

Il giorno dopo, quando le hanno misurato la saturazione, Daniela racconta che la dottoressa ha gridato sorpresa. Lo strumento indicava un livello del 64 per cento. Normalmente dovrebbe essere intorno al 95. Inizialmente i medici pensavano che lo strumento fosse guasto.

Dodici anni di tagli

In Calabria è saltata «la capacità di fare i tracciamenti», dice Francesco Esposito, segretario nazionale della Federazione italiana sindacale medici uniti. I casi non sono più alti di quelli registrati nei momenti critici in altre regioni, ma la Calabria è la regione che ha meno personale addetto al tracciamento. In un caso di positività su cinque gli operatori non riescono nemmeno a fare una basilare indagine epidemiologica e ad avvertire i contatti stretti.

L’intera sanità regionale soffre dopo oltre 12 anni di commissariamento in cui ci si è occupati soprattutto di tagliare le spese e far quadrare i conti. «Il nostro è un problema che viene ben prima della pandemia. Siamo abbandonati da Dio e dagli uomini, la politica doveva pensarci prima», dice Cesario. «La situazione si sta deteriorando: stanno crescendo i numeri, soprattutto quelli nelle terapie intensive», dice Domenico Minniti, presidente regionale dell’Aroi, l’associazione degli anestesisti rianimatori. «Non sono alti in senso assoluto, ma lo sono rispetto alla nostra capacità di dare risposta con le terapie intensive». La Calabria è la regione che in rapporto al numero di abitanti ne ha il numero più basso. In tutto sono 141, dice Minniti, anche se nei rapporti ufficiali basati sui dati forniti dalla regione ne risultano 152.

Riaperture?

Negli ultimi giorni la situazione a Cosenza si è sbloccata. Decine di pazienti sono stati spostati dal pronto soccorso grazie all’attivazione da parte dell’Azienda sanitaria provinciale di altri 74 posti letto in diverse strutture provinciali. «Un’operazione che era stata prevista a novembre, ma che è stata fatta solo negli ultimi giorni. Si poteva fare molto prima», dice Cesario.

Ieri mattina, anche Daniela è stata trasferita all’ospedale di Germaneto, in provincia di Catanzaro. «Qui è tutto diverso, le stanze sono isolate e abbiamo il bagno in camera – racconta –. A Cosenza non potevamo neanche chiamare aiuto: in pronto soccorso non c’era nulla, solo i lettini e pazienti disperati».

La prossima settimana una dozzina di regioni potrebbe tornare in zona gialla, dove il governo ha deciso di permettere la riapertura di bar, ristoranti e luoghi di spettacolo anche all’aperto. La Calabria, invece, rischia di tornare in zona rossa.

 

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