Rivedere le permanenze nei Centri per il rimpatrio, aumentare le risorse per migliorare le strutture penitenziarie, intervenire sui suicidi in carcere. Sono solo alcuni dei punti che il Garante nazionale per le persone private della libertà personale ha sottolineato nel suo rapporto al parlamento sulle attività del 2022.

Carceri

Negli ultimi 36 mesi sono aumentati i numeri delle persone finite all’interno degli istituti penitenziari. Di queste, 1478 persone sono in carcere per scontare una pena inferiore a un anno, altre 2741 una pena tra uno e due anni e altre 4368 tra due e tre anni. Un numero che rimane alto ed è aumentato nel tempo.

Proprio per questo il Garante si domanda: «Perché non accedono alle diverse misure alternative previste proprio condanne così brevi? La loro presenza in carcere ci parla della loro povertà e marginalità sociale, una fragilità non intercettata dai territori prima che degeneri e finisca in mano alla giustizia penale».

«La loro presenza in carcere – si legge ancora nel rapporto – interroga il nostro tessuto sociale: sono vite connotate da una marginalità che avrebbe dovuto trovare altre risposte, così da diminuire l’esposizione al rischio di commettere reati».

Per quanto riguarda i suicidi in carcere, da inizio dell’anno se ne sono registrati 30 (con 12 decessi da accertare) contro gli 85 dell’anno precedente. 

Cpr e migranti

Tra le attività del Garante c’è anche quello di vigilare sui rimpatri e sulle condizioni delle persone all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Nel 2022, secondo i dati pubblicati, sono 6383 le persone ristrette nei Cpr, ma di queste solo 3154 sono state effettivamente rimpatriate. Il paese di origine con il maggior numero delle riammissioni è la Tunisia (2308), seguito da Egitto (329), Marocco (1899 e Albania (58).

Questo significa, però, che il 50,6 percento delle persone rinchiuse nei Cpr «ha avuto un periodo di trattenimento detentivo senza il perseguimento dello scopo per cui esso era legalmente previsto». Una situazione sul quale il garante pone alta l’attenzione, così come nel negoziato sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo dell’Unione europea.

Repressione della polizia

Il garante Mauro Palma è intervenuto anche sulla questione delle violenze commesse da alcuni agenti di polizia. Dopo lo scoop del pestaggio avvenuto all’interno di Santa Maria Capua Vetere pubblicato da Domani, si sono verificati ulteriori casi di agenti accusati di tortura. L’ultimo in ordine cronologico è il caso avvenuto a Verona, dove 22 agenti sono indagati per torture e violenze a danno di alcune persone che venivano fermate.

Casi che non rappresentano l’intero corpo dello stato, ma che secondo il garante «sono indicativi di una cultura, non leggibile con il paradigma autoconsolatorio delle «mele marce; una cultura che oggi alberga, minoritaria, ma esistente, in settori di operatori di polizia, che percepiscono la persona fermata, arrestata o comunque detenuta, come nemico da sconfiggere e non come autore di reato a cui viene inflitta quella sanzione che la legge prevede e dei cui diritti si è responsabili nel momento in cui la si detiene».

In questo senso, il garante ha ribadito la soddisfazione per il reato di tortura introdotto nel 2017. Reato che ora il governo di Fratelli d’Italia ha intenzione di abrogare.

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