Anche i detenuti hanno bisogni affettivi e sessuali, ma la polizia penitenziaria ne è disturbata, allora li irride. Pubblicamente.
Nei giorni scorsi il sito della polizia penitenziaria ha riportato un articolo di Franco Bechis, pubblicato sul quotidiano La Verità, in cui il giornalista critica con toni coloriti la scelta del governo di stanziare oltre 28 milioni di euro per creare dei piccoli appartamenti in carcere, che ospitino i detenuti sottoposti al regime carcerario duro, al fine di permettere loro di  incontrare e stare in intimità con il partner.

Come spiega il giornalista, «il costo 2022 dell'operazione è 3,6 milioni di euro nel 2022 cui però si aggiungeranno altri 24,7 milioni di euro in un biennio per pagare 100 casette nuove e ristrutturare allo scopo altri 90 fabbricati esistenti in tutte le altre 190 carceri italiane».  Un «pensiero» del governo Draghi che il giornalista definisce «costoso e a luci rosse».

Le strutture

Il carcere duro non prevede la concessione di permessi premio, quelli cioè che generalmente permettono a chi sconta una pena carceraria di tornare a casa e stare in intimità con il partner, oltre che trascorrere del tempo con la famiglia. Nei giorni scorsi, è arrivata la notizia che i ministeri della Giustizia e dell’Economia e Finanze hanno stanziato oltre 28,3 milioni di euro per creare dei piccoli appartamenti all’interno del perimetro della casa circondariale.

Quello dell’affettività dei detenuti è un tema di cui si parla da tempo. Lo stanziamento di questo denaro sarebbe un passo concreto nella direzione del riconoscimento del diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti. 

Tuttavia una certa parte politica non ha accolto di buon grado la novità. E tra questi scontenti si è schierata anche la polizia penitenziaria che ha fatto sue le parole di Bechis.

La polizia penitenziaria 

Gli oltre 28 milioni di euro da dedicare ai carcerati «per fare sesso con la propria consorte, fidanzata, amante», sono apparsi eccessivi non solo al giornalista, ma anche alla polizia penitenziaria, che ha ne ha sposato l’articolo, riproponendolo sul proprio sito. E allo stesso modo è apparso «difficile capirne l'urgenza» (della decisione) «nel bel mezzo di una guerra in Europa, con imprese italiane e cittadini che soffrono la crisi energetica che ne è derivata e il Pnrr che sta mostrando tutti i suoi limiti e lentezze». 

«Con tutto il rispetto per le relazioni familiari stabili e la loro esigenza di carnalità, – si legge ancora – più che una casetta in ogni carcere dunque arriverà qualcosa di più simile a un casino, perché la sua funzione principale era proprio quella esercitata nelle case chiuse prima della legge Merlin. Nel “modulo abitativo” (così viene definito dal ministero Giustizia) infatti potranno esserci in contemporanea tre detenuti con la propria o il proprio partner». 

Insomma, questo il tenore del racconto. Esiste la libertà di opionione. Peccato che un testo di questo tipo sia stato condiviso da una istituzione, quale è  la polizia penitenziaria. Peraltro oltre all’articolo, sul suo sito, la polizia penitenziaria ha corredato il testo con immagini che definire sessiste è un eufemismo. 

No ai «guardoni di stato»

Ma la storia non è finita, c’è anche una ciliegina delicatamente adagiata sulla torta dal sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Sappe. Il sindacato è intervenuto a sottolineare la posizione dei poliziotti, qualora non fosse stata chiara, e ha affermato che gli agenti non devono diventare «guardoni di stato».

 «Ciclicamente – ha dichiarato il sindacato in una nota – viene fuori la proposta di destinare stanze o celle in carcere per favorire il sesso ai detenuti. Noi ribadiamo quel che diciamo da tempo, con fermezza ed altrettanta chiarezza: per il Sappe, i nostri penitenziari devono assicurare il mandato costituzionale dell’esecuzione della pena e i nostri agenti di polizia penitenziaria non devono diventare “guardoni di stato”

Il sindacato ha definito il «sesso in carcere» «una proposta inutile e demagogica, che offende anche chi ha subìto un reato anche molto grave». E ha indicato quelle che sarebbero invece le vere emergenze. Così ha elencato gli atti di autolesionismo che si sono verificati nel 2021, (oltre 11mila), gli 1,6 mila tentati suicidi e le oltre 8mila colluttazioni. Insomma, una specie di guerra tra poveri traslata su bisogni e disagi. 

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