«Deve essere disapplicato, in parte qua, il D.M. 17 Marzo 2023 poiché non conforme ai criteri legislativi indicati nella direttiva 2013/32/UE del Parlamento sul territorio dello stato sinché il suo ricorso giurisdizionale non verrà definito».

Con queste parole il presidente della sezione immigrazione del tribunale di Firenze, il magistrato Luca Minniti, ha dato ragione a un richiedente asilo di nazionalità tunisina e ha dato torto invece al ministero dell’interno che, nel decreto così detto Cutro, «non ha preso in dovuta considerazione gli elementi di grave crisi socioeconomica, sanitaria, idrica, alimentare e politica che hanno recentemente riguardato la Tunisia».

Si legge nella sentenza: «Il ricorrente ha sottolineato come l’involuzione autoritaria del paese e la crisi politica in atto siano tali da rendere obsoleta la valutazione di sicurezza compiuta dal D.M. con il decreto 17 marzo 2023».

In sostanza, il Viminale introducendo nella lista dei paesi sicuri anche la Tunisia, ha stabilito per le persone che da lì provengono l’attuazione di procedure accelerate nella richiesta d’asilo, dunque, prevedendo deroghe ai diritti, come quello di rimanere nel territorio «fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo, oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso», come prevede in questo senso la direttiva dell’Unione Europea.

«Questa ordinanza di Firenze è fondamentale, perché stabilisce un principio, già esplicitato qualche giorno fa dalla sentenza della giudice Apostolico di Catania e cioè che il giudice competente ha il potere di valutare caso per caso le domande d'asilo», spiega l'avvocato Salvatore Fachile dell'Associazione Studi Giuridici Immigrazione. Ma non soltanto.

Aggiunge il legale: «Nel caso specifico, sancisce che il giudice dovrà valutare caso per caso la gravità della situazione economica e geopolitica del paese da cui il richiedente proviene. E il legislatore, da parte sua, dovrà aggiornarla continuamente, tenendo conto, appunto, del mutamento di questi fattori».

In effetti, la pronuncia di Firenze fa il paio con quanto stabilito lo scorso 29 settembre dalla sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Catania, quando si sono tenute le prime udienze di convalida dei richiedenti asilo fermati nel nuovo Centro per il Trattenimento dei Richiedenti Asilo di Pozzallo alla luce dell’ultimo decreto Piantedosi.

Sono sette le sentenze di questo tipo emesse dal tribunale di Catania che scardinano l’intero impianto dell’ultimo decreto immigrazione. In una di queste si legge, per esempio, in relazione alla situazione di un cittadino tunisino: «Deve infatti escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale», come ha scritto la giudice Iolanda Apostolico nella sentenza.

Attacco alla libertà

Riccardo Campochiaro è uno degli avvocati che in questi giorni hanno appellato i trattenimenti dei richiedenti asilo rinchiusi presso il centro di Pozzallo. E dice a Domani che «queste sentenze confermano la mancata coerenza ai principi statuiti dalla nostra Costituzione e dalla Direttiva UE 2013».

Gianfranco Schiavone, giurista di lungo corso, invece, evidenzia come «la decisione del Tribunale di Catania ci ricorda che nel nostro ordinamento la libertà personale è un bene supremo la cui limitazione può avvenire solo all’interno di garanzie molto precise. Non si tratta di cavilli giuridici né di norme scritte male, ma di qualcosa che ha a che fare con i fondamenti stessi della nostra democrazia».

Aggiunge Schiavone: «il trattenimento amministrativo, ovvero la limitazione della libertà al di fuori della sfera penale, è un istituto che si pone al limite rispetto alla compatibilità con la tutela dei diritti fondamentali e con l’ordinamento costituzionale, perché non è possibile privare una persona della sua libertà in ragione di ciò che egli è, uno straniero che chiede asilo».

E che ci sia oggi un vero e proprio disprezzo da parte dell’attuale maggioranza al governo per il diritto d’asilo, lo fa notare Yasmine Accardo, portavoce dell’associazione LasciateCIEntrare, riferendo del deputato di Fratelli d’Italia Lucio Malan che ha fatto circolare su Twitter i nomi e le storie delle persone ricorrenti, violando anche la legge sulla privacy. Non solo.

Accardo ricorda un altro particolare non raccontato in queste ore. E cioè che dopo la sentenza, i cittadini tunisini sono stati liberati dal Cpr, sì, ma portati all’interno dell’hotspot, che non è un centro di accoglienza, ma di trattenimento.

E ora sono in attesa che, a breve, in una udienza on line, la commissione ascolti le loro storie. È l’effetto della procedura accelerata in frontiera introdotta con un decreto da questo governo, che - ricorda Accardo - «abbatte le possibilità di capire che differenza ci sia tra asilo, commissione e polizia, visto che i richiedenti asilo, anche minori, provenienti da paesi “sicuri” come la Tunisia si interfacciano solo con la detenzione».

Ed è proprio la detenzione dei richiedenti asilo il chiodo fisso dell’esecutivo, che l’ha aumentata fino a 18 mesi nonostante almeno tre sentenze della Cassazione, soltanto negli ultimi mesi, abbiano stabilito che «il trattenimento dello straniero all’interno del centro di permanenza per i rimpatri non può essere superiore a novanta giorni ed è prorogabile per altri trenta giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri».

Infine, proprio qualche giorno fa, la stessa Cassazione ha confermato la condizione disumana e degradante delle persone trattenute nel Cie di Bari Palese, oggi Cpr, aprendo la strada a importanti implicazioni giuridiche, di cui il governo Meloni sembra non tenere conto mentre legifera.

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