Vengono da Gambia, Guinea, Senegal, Mali, Costa d’Avorio e Bangladesh. Nel 2017 avevano tra i 16 e i 18 anni non ancora compiuti e, per la Corte europea dei diritti Umani, sono stati accolti in Italia con «trattamenti inumani e degradanti» e trattenuti illegalmente, anche per lungo tempo, nell’hotspot di Taranto. Dovranno essere ora risarciti dal governo.

L’Italia viene condannata (di nuovo) per la gestione non solo dell’immigrazione, ma in particolare dei e delle minorenni stranieri senza famiglia. Quella del 23 novembre è l’ultima di una serie di sentenze che non solo restano senza risposta ma vedono protrarsi le situazioni per cui la Cedu condanna il nostro paese. L’Italia «viene così sottoposta a un regime di monitoraggio per l’attuazione delle sentenze» e altre condanne, se la musica non cambia, potrebbero arrivare dall’Europa, avverte Dario Belluccio, avvocato del foro di Bari di Asgi, associazione studi giuridici sull’immigrazione che ha portato il caso a Strasburgo.

«Non solo non sono stati modificati gli approcci repressivi precedenti, ma ne sono stati implementati ulteriori non rispettosi dei principi basilari dei diritti umani e fondamentali, come dimostra l’accordo con l’Albania», chiosa Belluccio. Asgi ha inviato una comunicazione al comitato dei ministri del Consiglio d'Europa «elencando le innumerevoli situazioni di mancata tutela e illegittimo trattenimento di cui sono vittima i minori stranieri non accompagnati in Italia anche alla luce del prevedibile peggioramento della situazione con l'entrata in vigore definitiva delle misure previste dal Decreto legge 133/2023».

I minori stranieri non accompagnati non possono per legge essere trattenuti (mai e ovviamente non) nei centri di permanenza per il rimpatrio, negli hotspot e nei centri governativi di prima accoglienza. Hanno diritto al permesso di soggiorno per minore età e a essere accolti dopo al massimo 48 ore in centri dedicati (gestiti dal Viminale) fino ai 18 anni. E invece alle frontiere italiane quello che avviene è ancora, di fatto, il loro trattenimento.

In Puglia

A Taranto «la situazione è sempre la stessa», racconta a Domani Erminia Sabrina Rizzi, operatrice legale in diritto dell'immigrazione d'asilo operativa in Puglia. Continuano a essere centinaia i minori stranieri non accompagnati trattenuti nell’hotspot, anche per due mesi: 185 al 20 novembre scorso, quando in occasione della giornata internazionale dell’Infanzia il garante regionale Ludovico Abbaticchio ha visitato la struttura. E almeno una sessantina, aggiunge Rizzi, sono lì da agosto. «L’hotspot è allestito su un parcheggio nel porto della città jonica, completamente isolato dal contesto urbano e sociale locale ed è assolutamente inadatto ad ospitare minori, tanto più se in condizioni di trattenimento», ricorda l’avvocato Dario Belluccio.

A ottobre, quando a Taranto in visita si è recata la garante nazionale, Carla Garlatti, i minori nell’hotspot erano 198, alcuni davvero piccoli. «Qui si limitano a mangiare e dormire e sono di fatto trattenuti: per raggiungere il centro abitato dovrebbero camminare per chilometri su una pericolosissima strada statale», dice Erminia Rizzi. «E sì, è stato assegnato loro un tutore: peccato che sia il responsabile del centro, che evidentemente non può seguirli». La legge Zampa del 2017 sui minori stranieri non accompagnati prevede tra l’altro che ogni tutore abbia un massimo di tre minorenni assegnati/e.

Sempre in Puglia, un altro luogo di detenzione per questi ragazzi – che nessun reato hanno compiuto e a cui anzi la legge conferirebbe tutele rafforzate – è il centro di Restinco, isolato nella campagna in provincia di Brindisi, verso Mesagne. A inizio ottobre, al momento della visita della garante nazionale Carla Garlatti, ci sono 132 minori stranieri non accompagnati. ​​

«Il centro di accoglienza si trova nello stesso “luogo” in cui c'è anche un Centro per il rimpatrio», spiega Garlatti. Non c’è promiscuità, le strutture sono separate, ma condividono le stesse mura altissime. Il Cpr è presidiato dai militari, l’ingresso è un portone di grandi dimensioni con tanto di guardiola. I ragazzi all’inizio credono di essere in carcere, poi capiscono che i manganelli, almeno in teoria, non sono per loro. Ma non escono mai. C’è un corso di italiano una volta alla settimana, al massimo qualche partita di pallone, in ciabatte e sull’asfalto. «Un ragazzo ha raccontato che stare qui senza poter uscire, senza sapere cosa accadrà e senza fare nulla, fa venire brutti pensieri. Mi ha molto colpita», dice la garante.

Nel centro di prima accoglienza S. Anna di Crotone, a metà novembre, sono 137 i minorenni stranieri senza famiglia. «E arrivano a restare qui anche cinque o sei mesi», racconta Carla Garlatti. Una situazione cronica in cui «sono costretti, anche per periodi di tempo prolungati, a convivere con persone adulte in totale promiscuità, senza le tutele che la legge loro assicura», scrive a febbraio il garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Calabria, Luca Muglia.

Non va meglio all’hotspot di Pozzallo e nel suo distaccamento in Contrada Cifali, a 45 minuti da Ragusa, dove, come emerso da un sopralluogo della scuola di Asgi e Spazi Circolari di giugno, «oltre 100 minori sono privati totalmente della propria libertà personale per mesi, in una struttura geograficamente isolata, senza poter accedere alla domanda di asilo». «È da tanti anni che va avanti questa situazione», conclude Garlatti. «Andrebbe messa finalmente a regime l'accoglienza prevista da tempo dalla legge».

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