Parlando della guerra in Ucraina, molti esperti ripetono frasi come: “L’Ucraina voleva entrare nella Ue e nella Nato, quindi la Russia era minacciata e perciò Vladimir Putin ha deciso di invaderla”, oppure “La guerra è colpa della Nato e degli Usa che volevano allargarsi a est”. Sbagliano. La guerra non è mai la conseguenza inevitabile di una serie di circostanze. La storia non è fatta da un’interminabile serie di eventi che si succedono in modo deterministico. No. La guerra è opera di uomini, cioè di individui che decidono di compiere, o di non compiere, determinate azioni. Ordinare un massacro non è la logica conseguenza di qualcos’altro.

Ogni guerra, come questa in Ucraina, è frutto della decisione presa da individui che hanno un nome, una faccia e una storia. E ogni uomo che decide di aggredire un altro uomo è mosso dai suoi istinti e dalle sue emozioni, più che dalla logica.

Perciò, dire che la Russia ha invaso l’Ucraina perché la Nato si è espansa verso est non ha senso, mentre dire che Putin ha dichiarato guerra all’Ucraina perché si sentiva minacciato, sì. Ma quello che per Putin è una minaccia potrebbe non esserlo per qualcun altro: ci fosse stato un altro al posto suo, questa guerra non sarebbe mai iniziata.

Questione di scelte

Allo stesso modo, l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, nel 2003, non fu la conseguenza inevitabile dell’attentato alle Torri gemelle o della situazione geopolitica di fine anni Novanta: furono George W. Bush, presidente Usa, Dick Cheney, vicepresidente, e Donald Rumsfeld, ministro della Difesa, a prendere quella decisione sulla base delle loro convinzioni personali. Altri al loro posto quella guerra non l’avrebbero iniziata mai.

Quindi, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare: nei conflitti sociali e nelle guerre svolgono un ruolo fondamentale alcuni individui che decidono per tutti gli altri, e che sono mossi più dai loro istinti e dalle loro emozioni che dalla loro ragione. Ce lo insegnano le neuroscienze.

Quando aggrediamo un altro essere umano, le nostre azioni sono controllate da tre aree del nostro cervello collegate tra di loro: l’ipotalamo, l’amigdala, e la corteccia frontale.

L’ipotalamo è una parte del nostro cervello che controlla molte variabili del nostro organismo: la temperatura corporea, la pressione sanguigna, e così via. Negli anni Trenta del secolo scorso, il fisiologo svizzero Walter Hess scopri che quando stimolava l’ipotalamo posteriore di un gatto con un sottile micro elettrodo che trasmetteva una lieve corrente elettrica, quel gatto mostrava un comportamento di attacco: cominciava a soffiare, mostrava i canini, inarcava la schiena, tirava fuori gli artigli, e se c’era un topo nella gabbia lo attaccava e lo sbranava.

Cervello della lucertola

L’ipotalamo si trova nella parte più profonda e antica del nostro cervello, quella che qualcuno chiama “cervello della lucertola” proprio perché la condividiamo con questi animali preistorici.

L’ipotalamo controlla e mette in atto i nostri comportamenti istintivi e incoscienti: se non mangiamo, induce in noi il senso di fame e ci spinge ad andare alla ricerca di cibo; se abbiamo freddo, ci fa tremare per scaldarci.

Poi c’è l’amigdala, un piccolo agglomerato di neuroni a forma di mandorla sito sopra all’ipotalamo, e di origine più recente. Cosa fa l’amigdala?  Se qualcuno ci tira una pietra, noi in maniera istintiva ci abbassiamo per schivarla, se vediamo un incendio scappiamo spaventati, se un predatore minaccia la nostra prole noi lo attacchiamo.

La sede delle nostre paure

L’amigdala è la parte del nostro cervello in cui hanno sede le nostre paure, e che poi trasmette i segnali di paura all’ipotalamo, il quale decide in maniera inconscia come rispondere a quello stimolo. Per esempio, quando vediamo un leone che ci attacca, l’amigdala ci fa provare paura, trasmette questo segnale all’ipotalamo, che ci dice se dobbiamo fuggire oppure difenderci combattendo.

Questa decisione, chiaramente, non ha nulla di razionale ma è basata sulle nostre emozioni. Alcune paure sono innate, cioè scritte nei nostri geni, come la paura del fuoco o del leone, altre sono acquisite, e cioè apprese.

Per esempio, chi ha vissuto durante la guerra ha imparato che le sirene dell’antiaerea preannunciano le bombe, e da allora quel suono sinistro gli metterà paura e lo indurrà a scappare o combattere. Tutte le nostre paure, innate o apprese che siano, sono immagazzinate nell’amigdala, e influenzano profondamente il nostro comportamento.

La razionalità

Poi però l’uomo è anche un animale razionale. Per questo abbiamo la corteccia prefrontale, la parte più nuova del nostro cervello. La corteccia prefrontale è quella che ci fa prendere le nostre decisioni razionali coscienti, che può inibire o eccitare l’amigdala e l’ipotalamo, controllando i nostri impulsi aggressivi e guidando il nostro comportamento.

Per esempio, posso decidere di impugnare coscientemente un revolver per uccidere qualcuno che odio. Ma non dobbiamo sopravvalutare l’importanza della parte razionale del nostro cervello: gran parte delle nostre scelte e dei nostri comportamenti, anche quelli apparentemente più razionali e coscienti, sono influenzati dalle nostre paure e dalle nostre emozioni, cioè dalla parte irrazionale della nostra mente.

Provate a pensare a voi stessi: se avete aggredito qualcuno eravate mossi da un impulso istintivo, emotivo e irrefrenabile, più che dalla vostra ragione cosciente. Lo stesso accade in guerra, e non solo in guerra.

Per esempio, le persone di solito sentono il bisogno di appartenere a un gruppo più che di essere nel giusto. L’appartenere a un gruppo, religioso, etnico, o politico, garantisce un’identità culturale e sociale, offre sicurezza e altri vantaggi biologici che influenzano le nostre emozioni e i nostri istinti.

L’istinto del gruppo

Chi appartiene a un gruppo spesso diventa sospettoso e diffidente degli altri, e per lui è più facile escluderli, attaccarli o perfino ucciderli. Chi fa parte di un gruppo spesso fatica a distinguere i fatti dalle opinioni, anzi tende a fidarsi delle sue opinioni anche se sono false, perché sono proprio quei convincimenti a tenere unito il gruppo.

Specie in una situazione di guerra e di pericolo la parte emotiva e istintiva del nostro cervello ci consiglia di riunirci in gruppi solidali perché ciò aumenta la nostra forza e facilita la nostra sopravvivenza. E sono soprattutto le nostre emozioni a guidarci quando dobbiamo scegliere un leader, tanto più se ci troviamo in una situazione di pericolo.

Quando il gruppo a cui apparteniamo viene minacciato, le nostre strutture cerebrali che presiedono alle emozioni e agli istinti prendono il sopravvento e ci fanno scegliere il leader che percepiamo più forte e in grado di difenderci meglio dal nemico.

Quindi, in situazioni di guerra e di conflitto le nostre azioni sono soprattutto guidate dalle nostre paure, dalle nostre idiosincrasie e dal nostro odio, cioè dalle parti inconsce, emotive, caotiche ed irrazionali del nostro cervello.

La pace

Perciò, cosa dobbiamo fare per ottenere la pace? Chi vuole la pace non deve basare le trattative solo sul discorso razionale: in guerra le emozioni sono più importanti, difatti Putin ha invaso l’Ucraina per motivi per lo più irrazionali.

Non deve preoccuparsi troppo dei fatti, perché di solito gli individui “credono” a quel che dicono: Putin ha invaso l’Ucraina perché la sente davvero sua. Deve tenere a mente che la rabbia e l’aggressione sono spesso il risultato della paura o dell’odio: Putin ha paura degli ucraini e li odia.

Deve sempre tenere in considerazione quel che è importante e irrinunciabile da un punto di vista emotivo sia per l’aggressore sia per l’aggredito: chi, come molti sedicenti pacifisti, dice che gli ucraini dovrebbero arrendersi perché solo così riusciranno a salvarsi e ad evitare altre morti è un finto equidistante che parteggia emotivamente per Putin. Deve ricordare che i giovani hanno spesso bisogno di eroismo per dare senso alle loro vite. E soprattutto, che per avere la pace deve convincere il cuore più che la testa delle persone.

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