Su trentanove stelle Michelin solo una è stata assegnata a una chef donna. Una soltanto in Italia merita uno dei premi più importanti assegnati all’alta cucina. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: è troppo poco e totalmente inaccettabile.

Non siamo in molti, purtroppo, a combattere questa battaglia perché alle cuoche venga dato il giusto spazio in un ambito troppo spesso segnato dalla presenza maschile. Abbiamo evidenziato il problema già nel numero di luglio e in quello di agosto. Preferiamo correre il rischio di essere noiosi piuttosto che non segnalare il problema quando si presenta in tutta la sua evidenza.

La terza stella assegnata a Villa Crespi, il ristorante di Antonino Cannavacciuolo, ha occupato i titoli della stampa di settore e di quella generalista per giorni e giorni. Sara Scarsella, chef e proprietaria insieme a Matteo Compagnucci del ristorante Sintesi di Ariccia, è stata oggetto del solo titolo possibile: “Ecco l’unica donna premiata Michelin”.

Merito a lei e al suo collega per essere riusciti a conquistarla. Il loro ristorante doveva averla da tempo. Ma quello che è successo (di nuovo) è il segno di quanto le guide siano miopi nel giudicare i ristoranti del nostro paese.

Non si sforzano di guardare quali siano gli ostacoli che frenano la presenza femminile alla testa delle cucine. Lo ha ricordato Lavinia Martini su questo mensile nell’articolo “Le guide dei ristoranti sono maschiliste”: nessuna donna italiana è inclusa nella classifica The World’s 50 Best Restaurants 2022, la concorrente inglese della Michelin. Gli uomini invece sono celebrati in continuazione. In ogni modo.

Sono a capo non solo delle cucine ma anche delle guide più importanti. Anche dall’altra parte, infatti, le donne che curano riviste e inserti dedicati al cibo sono poche e molto poco celebrate. Penso a Roberta Abate che in pochi anni ha reso Munchies Italia il più letto dei siti del settore, riuscendo a parlare a una generazione di giovani in cerca di belle esperienze a tavola. O a Chiara Cavalleris di Dissapore. Se non lo fanno gli uomini, dovremmo essere noi donne a pretendere lo spazio che meritiamo. Non in quanto minoranza, ma per la qualità del nostro lavoro.

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