L’Organizzazione mondiale della sanità ha invitato Pechino a condividere informazioni dettagliate e aggiornate sulla prima ondata su scala nazionale di Sars-CoV-2 in Cina, che sta provocando un numero imprecisato di morti e mettendo a dura prova il fragile sistema sanitario della seconda economia del pianeta. Gli scienziati dell’Oms hanno chiesto la pubblicazione regolare dei dati su decessi, sequenziamento virale, ospedalizzazioni e vaccinazioni.

A margine del colloquio, l’altro ieri, tra l’Oms e il governo cinese, un funzionario del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa ha rilevato che la trasparenza «è nell’interesse della Repubblica popolare cinese e della comunità internazionale ed è fondamentale per identificare eventuali varianti».

Pechino è sulla difensiva. Il ministero degli Esteri ha definito «inaccettabili» e «senza basi scientifiche» le restrizioni all’ingresso dei viaggiatori in arrivo dalla Cina imposte da alcuni paesi, tra cui Italia, Usa, Francia, Spagna e Giappone. La portavoce Mao Ning ha dichiarato che Pechino intende migliorare la comunicazione con il mondo, sottolineando però che «ci opponiamo fermamente ai tentativi di manipolare le misure di prevenzione e controllo dell'epidemia a fini politici».

Al contrario il portavoce del Dipartimento di stato, Ned Price, ha rivendicato un approccio dovuto alla «mancanza di dati epidemiologici e genomici virali adeguati e trasparenti» e ribadito l’offerta degli Stati Uniti a condividere i loro vaccini. Anche l’Unione europea si è detta pronta a donarne alla Cina.

Sistema sanitario stremato

Per Xi Jinping e compagni accettare dall’occidente vaccini a mRNA significherebbe riconoscere l’inadeguatezza di quelli, a virus inattivato, made in China. Dopo aver dichiarato frettolosamente vittoria nella «guerra popolare contro il coronavirus» l’8 settembre 2020, per il presidente vorrebbe dire «perdere la faccia», ovvero la reputazione, esponendo le proprie debolezze, una debacle secondo le regole della società cinese.

Possibile che la nuova leadership uscita dal XX congresso del partito faccia infine prevalere il pragmatismo sull’ideologia che finora ha avuto un ruolo centrale nella contraddittoria gestione della pandemia? A leggere il Quotidiano del popolo, sembrerebbe proprio di no. Ieri l’organo ufficiale del comitato centrale del Partito comunista assicurava infatti che «la Cina e il popolo cinese vinceranno sicuramente la battaglia finale contro l’epidemia».

Insomma è molto più probabile che anche la possibile cooperazione su questa nuova fase della pandemia naufragherà come la precedente – quando Donald Trump dileggiava l’avversario con le sue esternazioni su «virus cinese» e «kung-flu» – sopraffatta dalla rivalità strategica tra Pechino e Washington.

La situazione più pesante si registra al momento a Shanghai. I giornalisti della France presse che l’altro ieri sono riusciti a introdursi in un paio di grandi ospedali (Huashan e Tongren) hanno riferito di reparti di terapia intensiva saturi, e corsie piene zeppe di ammalati, anche agonizzanti.

Il dottor Chen Erzhen, vicedirettore del Ruijin Hospital e membro del comitato di esperti sul Covid-19 di Shanghai, ha raccontato che il pronto soccorso del suo nosocomio sta accogliendo 1.600 persone al giorno, l’80 per cento delle quali pazienti Covid, per la maggior parte ultrasessantacinquenni vulnerabili. Chen stima che nella seconda città della Cina abbia contratto il virus il 70 per cento della popolazione.

«Picco già superato»

Secondo gli epidemiologi cinesi nelle maggiori metropoli (tra cui Pechino, Tianjin, Chongqing e Guangzhou) il picco dei contagi è stato superato già da diversi giorni.

Da domenica prossima – quando cadranno tutte le principali restrizioni agli arrivi dall’estero – in Cina il nuovo coronavirus, sarà ufficialmente degradato a «malattia infettiva di classe B».

Il virus si è diffuso a una velocità apparentemente sorprendente. Probabilmente quando – alla fine di novembre – l’ulteriore rallentamento dell’economia e le proteste studentesche hanno indotto il governo a rimuovere tutte le restrizioni, la variante Omicron aveva già bucato le draconiane restrizioni della politica “contagi zero” in diverse regioni.

Il governo, che ha tenuto il paese chiuso per quasi tre anni nel rudimentale tentativo di bloccare la diffusione del virus in Cina, ora ha la necessità di far ripartire rapidamente gli scambi con il resto del mondo. L’economia infatti continuerà a rallentare almeno fino alla fine delle festività del Capodanno cinese, che quest’anno cade il 22 gennaio, poi – secondo i piani della leadership – dovrà ripartire di slancio.

La narrazione sul nuovo coronavirus – come quella degli altri drammatici eventi della storia della Repubblica popolare cinese – la scriverà il Partito comunista, che controlla tutti i media. Le autorità sono state chiare: verranno contati come morti da Sars-CoV-2 solo quelle registrate come conseguenza di insufficienza respiratoria e non quelle per le tante comorbilità a cui il Covid-19 avrà dato una spallata decisiva. Il conteggio è fermo a 5.242, ma nessuno crede alle cifre ufficiali. E il ministero della Sanità il mese scorso ha annunciato che non pubblicherà più informazioni quotidiane, limitandosi a un bollettino mensile.

Il partito potrà cantare vittoria nella «battaglia finale contro il coronavirus». Una vittoria di Pirro capace – anche se la stragrande maggioranza dei cinesi non aspettava altro che la riapertura del paese per tornare a respirare e a lavorare – di intaccare la legittimità del Partito comunista.

© Riproduzione riservata