Il potere parallelo a Napoli

I clan nella sanità controllano infermieri, vigilanti e medici

LaPresse Alessandro Pone
LaPresse Alessandro Pone
  • Carmine Botta, ritenuto elemento di vertice del cartello criminale, a metà aprile, chiede aiuto a Maria Licciardi per avere notizie sullo stato di salute della «moglie di Eduardo», ricoverata per Covid all’ospedale Cotugno di Napoli.
  • La camorrista, tra le dieci donne più pericolose al mondo, subito si attiva, e chiama un impiegato di una società di vigilanza privata che lavora presso l'azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli. Il vigilante si rivolge a una infermiera comune amica. 
  • L’episodio, ricostruito nelle carte dell’indagine che hanno portato all’arresto di Licciardi, si incrocia con un’altra inchiesta che aveva svelato le mani del clan sull’ospedale San Giovanni Bosco. Nomi e cognomi di medici e infermieri a disposizione sono coperti dagli omissis. Alcuni sono finiti nelle carte delle indagini. 

Maria Licciardi chiama un suo uomo fidato per avere notizie in merito a una parente ricoverata e affetta da Covid-19. La circostanza emerge dal provvedimento di fermo emesso dalla procura di Napoli e confermato dal giudice per le indagini preliminari a carico di Licciardi, considerata a capo dell’omonimo clan federato con l’alleanza di Secondigliano, il più potente cartello criminale campano. Tre sorelle Una struttura criminale “femmina”, nata dal matrimonio di tre sorelle. Anna, Maria e

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