È un mistero cosa abbia spinto Claudio Durigon, il sottosegretario leghista all’Economia del governo Draghi e uomo forte della Lega di Matteo Salvini, a vantarsi – durante una cena immortalata dalle telecamere nascoste di Fanpage - di tenere in pugno «un generale della guardia di finanza che indaga sui 49 milioni di euro della Lega». Un arcano reso ancora più fitto dopo che lui stesso ne svela il nome agli interlocutori, nientemeno che quello del comandante generale Giuseppe Zafarana. Sarebbe lui l’ufficiale che avrebbe protetto il Carroccio dalle indagini sul malloppo che il partito deve restituire allo stato perché frutto della truffa sui rimborsi elettorali architettata dal fondatore Umberto Bossi e dell’allora tesoriere Francesco Belsito.

Il mistero è anche buffo, perché – almeno a quanto emerso finora – le frasi di Durigon sono smentite dai fatti, che Domani ha ricostruito attraverso fonti autorevoli, alcune delle quali direttamente coinvolte nel dossier sui soldi della Lega che hanno seguito l’iter investigativo fin da principio.

Balle e milioni

Andiamo con ordine. Le indagini sui denari scomparsi proseguono da anni, e la guardia di finanza insieme ai pm della procura di Genova e a quelli di Milano ha setacciato conti correnti, depositi esteri in Lussemburgo attraverso sei rogatorie (richieste di informazioni alle autorità di altri paesi), perquisizioni e persino arresti. Non solo. In alcuni filoni si è arrivati anche alla condanna dei commercialisti del partito, arrestati proprio dalle Fiamme gialle. Soprattutto, le indagini di Genova e Milano viaggiano da tempo in parallelo: le riunioni di coordinamento tra le due procure sono state numerose, così come lo scambi di materiale.

A queste riunioni ovviamente sono seguite direttive agli uomini della polizia giudiziaria che seguono i movimenti dei soldi della Lega. Non si tratta ovviamente dei vertici del comando generale guidati dal maggio del 2019 da Zafarana (il generale fu nominato sotto il governo populista del Conte I, ma la nomina fu appoggiata da quasi tutto l’arco parlamentare), ma dei capi dei nuclei operativi di Genova e di Milano.

Per verificare se le parole di Durigon fossero o meno verosimili, si è voluto segnalare come lo stimato investigatore che ha iniziato a scavare sui 49 milioni, il colonnello Maurizio Cintura, sia stato trasferito in fretta e furia per volere del comando generale. In realtà, le regole di rotazione degli ufficiali da un incarico all’altro (in primis nei nuclei e nei comandi provinciali) nei vari corpi di polizia del paese variano in media dai 2 a un massimo di 4 anni. Cintura è arrivato a Genova nel 2015 e ad aprile 2018, a tre anni dall’assunzione dell’incarico, è stato interessato (per volontà dell’ex comandante della Finanza, Giorgio Toschi) da un provvedimento interno che lo promuoveva comandante a Siena.

I magistrati genovesi, però, hanno chiesto che rimanesse ancora un po’, proprio per via delle indagini sulla Lega che il colonnello stava curando: Cintura è così rimasto in Liguria addirittura fino ad agosto del 2020 (cinque anni in tutto, tempo record per un comandante di reparto) ed poi è stato promosso nel prestigioso comando provinciale di Reggio Calabria, che oggi comanda e che presto potrebbe portargli i nuovi galloni di generale di brigata. Per la cronaca, suo sostituto a Genova è stato nominato il colonnello Andrea Fiducia. Non certo una mammoletta: primo del suo corso, prima di indagare sui milioni della Lega ha firmato alcuni filoni di indagini dell’inchiesta Mafia Capitale e altri sulle infiltrazioni camorristiche a Latina e Roma.

Non solo. Tecnicamente la frase di Durigon non ha senso: il comandante generale di un corpo non ha infatti potere d’interdizione alcuno sulle indagini dei nuclei operativi sui vari territori. Ecco perché – per verificare l’esistenza di azioni occulte pro-Lega – è necessario valutare i trasferimenti del personale. Quelli sì decisi dall’alto. Fanpage sottolinea come il capo di Cintura, il comandante provinciale di Genova Renzo Nisi, sia stato anche lui spostato d’incarico, e sostituito con un generale, Vincenzo Tomei, che sarebbe stato più attento alle istanze del partito di Salvini. La regia dell’operazione sarebbe – questa l’ipotesi – del comandante Zafarana.

Ora risulta che il generale Nisi, persona capace, arrivi a Genova nel 2016. Dopo i tre anni di comando canonici viene sostituito – con provvedimento del 13 marzo 2019 – dall’allora colonnello Tomei. Chi decide la rotazione considerata oggi da qualcuno sospetta? Non Zafarana, che a quella data era comandante interregionale dell’Italia centrale, ma il suo predecessore Toschi. Che mai è stato accusato di simpatie leghiste: promosso capo delle Fiamme gialle nel 2016 dal governo Renzi, i nemici lo hanno al massimo considerato troppo vicino al Giglio magico dei fiorentini.

Trasferimenti

Nisi viene poi piazzato da Zafarana, diventato a maggio 2019 numero uno dei militari vestiti di grigio, capo del reparto Beni e servizi, che coordina le operazione contro la contraffazione in tutta Italia: per alcuni si tratta di un incarico di serie Z (Danilo Toninelli ha parlato ieri di «opaco demansionamento»), per altri invece si tratta invece di un «ruolo delicato».

Sia come sia, il trasferimento non sembra presentare evidenze di mosse segrete per inabbiare l’indagine sui 49 milioni. Il sostituto di Nisi è infatti Tomei. Secondo qualche suo rivale, è legato a un altro generale ormai in pensione considerato vicino alla Lega. Non sappiamo se il finanziere abbia simpatie per il Carroccio: è certo però che per anni Tomei abbia comandato il nucleo di polizia economica finanziaria di Milano, forse il più importante d’Italia. I pm meneghini, guidati da Francesco Greco, ne apprezzano le capacità tanto da averlo voluto al nucleo nonostante Tomei fosse privo del titolo della scuola di polizia tributaria, in genere posseduto dagli ufficiali destinati ad incarichi così delicati. Compresi quelli sulle indagini sulle quote latte, che al tempo coinvolse proprio la Lega Nord. Parole di apprezzamento arrivano anche dai magistrati di Bergamo e Messina, dove ha lavorato in passato.

Veleni a parte (la vicenda Durigon sembra essere usata all’interno dell’arma per regolare qualche dissapore) è certo che negli ultimi anni sono stati inflitti pesanti colpi ai guardiani delle finanze leghiste: l’arresto dei contabili che curavano i bilanci del partito e dei gruppi parlamentari è del settembre 2020. Si tratta di un’altra indagine della Guardia di finanza di Milano, che ha ottenuto i fermi anche grazie al materiale ottenuto dalle perquisizioni fatte dai loro colleghi di Genova impegnati sui 49 milioni. Senza contare che i processi contro il tesoriere della Lega attuale Giulio Centemero per finanziamento illecito nascono da documenti inviati dall’antiriciclaggio alla procura di Genova, lavorati dai detective della finanza, e poi inviati agli uffici competenti per territorio, Milano e Roma.

I clan di Latina

Durigon potrebbe però conoscere altri dettagli sconosciuti dei suoi presunti legami con i vertici della Finanza: come chiedono M5S e Sinistra italiana, è necessario che il sottosegretario del governo Draghi spieghi il senso della frase intercettata, portando evidenze o ammettendo la millanteria. Che sicuramente è riuscita ad offuscare l’altra vicenda che imbarazza il partito e lo stesso Durigon: cioè i rapporti opachi dei leghisti di Latina, feudo del sottosegretario, con i clan criminali che dominano quel territorio. Relazioni pericolose documentate in tre inchieste giornalistiche pubblicate da Domani e corredate anche dalle chat tra Durigon e un professionista collegato al boss Costantino Di Silvio, potente capo della criminalità locale. Le chat dimostrano come il professionista si era speso per la campagna elettorale del futuro sottosegretario braccio destro di Salvini.

Durigon – come per la frase rubata da Fanpage – non ha mai voluto dare spiegazioni sulla natura dei sui rapporti. Né eliminare ogni sospetto di voti di scambio tra la Lega e le organizzazioni criminali di Latina.

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