Nel febbraio dello scorso anno, il primo ministro Giuseppe Conte ha incontrato Piero Di Lorenzo, il patron di Irbm, la società che ha contribuito, insieme all’università di Oxford e Astrazeneca, alla produzione del vaccino. Quel giorno non si parlava di dosi, il virus non rappresentava ancora un’assoluta emergenza, ma di una televisione scientifica la “High Science Tv. EU”.

L’esperienza della tv, presentata con tanto di foto di rito sul sito di Di Lorenzo, è stata bocciata. Di Lorenzo prima dell’avventura con Irbm, acquisita dalla multinazionale Merck nel 2009, è stato anche produttore di fiction. Il ritorno alle origini non sembra abbia funzionato.

Emerge da una delibera, firmata da Maria Chiara Carrozza, nuova presidente del Cnr, il consiglio nazionale delle ricerche, che ricostruisce ogni passaggio di quest’avventura, conclusasi con la richiesta di «ripetizione», cioè la restituzione dei soldi versati, quasi cinque milioni di euro (4,7).

Domani ha recuperato il provvedimento. L’intestazione non lascia spazi a dubbi: «risoluzione progetto» in merito alla convenzione firmata dal Cnr, nel 2019, con la società consortile Cnccs (collezione nazionale di composti chimici e centro screening). Cnccs è una società consortile fondata nel 2010 da Pietro di Lorenzo, la sua Irbm detiene il 70 per cento delle quote, le altre sono divise tra l’istituto superiore di sanità con il 10 per cento e il Cnr con il 20 per cento. Praticamente il Cnr boccia una società di cui è socia.

Dal 2010, il ministero dell’Università versa sei milioni ogni anno alla società consortile presi dal finanziamento ordinario (Foe) destinato al Cnr. In tutto sono 58 milioni di euro.  L’amministratore delegato di Cnccs è proprio Di Lorenzo. Dopo il primo versamento al Cnccs per la tv scientifica, la seconda parte dei soldi, di pari entità, doveva essere erogata dopo il primo semestre di attività. La società consortile doveva, in particolare, realizzare «le infrastrutture per le riprese e messa in onda, con l’individuazione e contrattualizzazione dei top-scientists incaricati dello screening delle pubblicazioni».

Il Cnr, però, non riceve alcuna rendicontazione scientifica e finanziaria e sollecita l’invio della documentazione, con una comunicazione scritta nel settembre dello scorso anno. A ottobre, il consorzio risponde che l’attività non è iniziata perché aveva sollecitato una rimodulazione del piano finanziario, in pratica aveva chiesto più soldi, ma il Cnr non aveva risposto. Seguono comunicazioni tra i soggetti neanche estranei visto che il Cnr ha quote nel consorzio, ma quando il consiglio nazionale delle ricerche chiede il dettaglio delle attività svolte, la risposta è che i soldi spesi ammontano a 300 mila euro, sostenuti dal socio privato Irbm, senza toccare la provvista pubblica in attesa della rimodulazione dei costi.

Ma sulla rimodulazione arriva la bocciatura, il Cnr cita Anac, l’anticorruzione, e il Mur, il ministero dell’Università. «In tal modo il Cnccs non ha avuto modo di agire secondo il parere dell’Anac», in merito all’acquisizione di beni e servizi secondo la normativa vigente. «Non appare chiara la logica sottesa alla proposta di rimodulazione e sembra incongruo accettare ulteriori rimodulazioni prima che vi sica chiara evidenza che il progetto abbia avuto effettivo inizio», scrive il comitato tecnico scientifico per i progetti Fisr, fondo integrativo speciale per la ricerca. Ma non basta.

La delibera evidenzia che «le attività finora realizzate non sono supportate da documentazione amministrativa utile per essere verificate, appaiono difformi rispetto a quanto stabilito dalla convenzione».

A sei mesi dalla scadenza della convenzione non sono stati finora forniti dal consorzio elementi che dimostrino «la regolare esecuzione del progetto». Le conclusioni sono inevitabili con la risoluzione della convenzione e la richiesta di restituzione dei quasi cinque milioni di euro versati.

I dipendenti meno degli amministratori

La questione tv si inserisce all’interno del più ampio tema della partecipazione societaria del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’istituto Superiore di sanità alle quote azionarie del consorzio. In una interrogazione parlamentare, presentata dal M5s, lo scorso luglio, si menzionano i rilievi mossi dalla Corte dei conti in merito alla partecipazione al consorzio dell’istituto Superiore di sanità.

I magistrati contabili chiedono di «procedere al costante monitoraggio della partecipazione in CNCCS scarl (Collezione Nazionale di Composti Chimici e Centro screening) trattandosi di società partecipata in cui il numero dei dipendenti è inferiore rispetto agli amministratori. Questa Corte richiama l'attenzione degli organi dell'Istituto circa l'obbligo dell'adozione delle misure di razionalizzazione previste». Al momento la situazione è sempre la stessa.

Gli amministratori sono sette, l’amministratore delegato è Pietro Di Lorenzo, il vice è Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione presso il ministero della Salute. I dipendenti? Sempre due.

«Tale dato sembra sollevare, tra l'altro, interrogativi in ordine alle modalità con le quali CNCCS, dal 2010 ad oggi, abbia potuto realizzare, con un numero di dipendenti esiguo (2/3 unità di personale, con qualifica ignota), i tanti progetti di ricerca finanziati dal ministero con oltre 60 milioni di euro con appositi decreti a valere sul Foe (Fondo ordinario enti di ricerca), nell'ambito della sezione progetti di rilevanza internazionale», scrivono i senatori interroganti.

La replica 

L’amministratore Pietro Di Lorenzo risponde che si tratta solo di un’informativa e che attende la delibera. Gli diciamo che abbiamo letto la delibera, ma ci chiede il testo. Inviamo la delibera e Di Lorenzo richiama e chiarisce. «Non ci guadagna un euro nessuno, restituiremo i soldi, ma se ci sono interventi immotivati per bloccarla, qualcuno ne risponderà. Le strutture di presidenza del parlamento e della commissione europea hanno espresso in più occasioni l’entusiasmo per tale progetto. I soldi sono in un conto corrente dedicato, niente abbiamo speso perché avevamo capito che erano in corso verifiche». Poi spiega che c’erano degli eventi di presentazione al parlamento europeo saltati «a causa delle azioni strumentalmente dilatorie di un consigliere  del Cnr contro il quale abbiamo presentato denuncia». Di Lorenzo spiega che il consorzio ha solo due dipendenti perché non vuole trasformarsi in «assumificio e l’operatività è assicurata da decine di ricercatori applicati “a progetto” guidati da un comitato scientifico e dai dirigenti “prestati” dai Soci», il consorzio è «una virtual company». Infine l’annuncio di importanti novità su tre virus dopo il deposito di alcuni brevetti. Da ultimo la risposta sui 58 milioni di euro versati dal Cnr: «ogni euro è rendicontato, ma le rendicontazioni devono essere fornite dal consiglio nazionale delle ricerche». Lo stesso che ha bocciato la tv. 

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