«Il casco di protezione indossato dal personale delle forze di polizia deve riportare sui due lati e sulla parte posteriore un codice alfanumerico che consenta l’identificazione dell’operatore che lo indossa», recita l’articolo 2 di una proposta di legge firmata da Giuditta Pini (Pd).

Così chiede l’introduzione dei codici identificativi per le forze dell’ordine impegnate nei servizi di ordine pubblico. Oltre a questa proposta ce n’è un’altra, presentata dal deputato Riccardo Magi (+Europa): entrambe però giacciono in commissione Affari costituzionali, alla Camera dei deputati, da due anni e mezzo. Quando sono state presentate, anche Forza Italia, con il deputato Paolo Sisto, oggi sottosegretario alla giustizia con delega alle carceri, ha manifestato la profonda contrarietà all’ipotesi. Dando forza all’opinione già contraria di Lega e Fratelli d’Italia. Domani ha lanciato una petizione online proprio per chiedere l’introduzione dei codici identificativi (si può aderire sul sito change.org).

È stata firmata da quasi 35mila persone, ma la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, non ha mai dato alcuna risposta in merito. Il 6 aprile 2020, nel carcere “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere, c’è stato un pestaggio di stato. Circa 300 poliziotti penitenziari, per più di quattro ore, hanno massacrato di botte i detenuti del reparto Nilo, che ospita prevalentemente tossicodipendenti e ha anche una sezione destinata a chi ha problemi mentali.

A fine giugno il giudice Sergio Enea ha disposto 52 misure cautelari su richiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere. Uno degli agenti coinvolti dal provvedimento non aveva fatto nulla, era assente il giorno del pestaggio ed è stato scarcerato pochi giorni dopo l’esecuzione della misura.

C’era stato un errore che si sarebbe potuto evitare con il codice identificativo. Inoltre, con la legge Pini-Magi in vigore, non ci sarebbero ancora decine di poliziotti penitenziari picchiatori da identificare. Il 6 aprile, infatti, molti agenti, appartenenti ai gruppi operativi di supporto, sono entrati nell’istituto muniti di casco, rendendo complicata l’identificazione da parte dell’autorità giudiziaria.

La volontà politica

«Non c’è la volontà politica di approvarla, c’è bisogno che il Partito democratico o altri partiti la individuino come priorità e ne chiedano la calendarizzazione nella conferenza dei capigruppo», dice Magi. È cambiato qualcosa dopo la visione dei video che descrivono le violenze contro detenuti inermi, ripetutamente picchiati, fatti inginocchiare e umiliati?

La ministra Cartabia continua a ripetere che gli interventi devono riguardare la formazione, le strutture e il sovraffollamento. E i partiti? Dalle destre l’opposizione è netta. «Noi siamo contrari al codice identificativo per le forze dell’ordine. Comunque se il Partito democratico volesse calendarizzare questa proposta potrebbe farlo in ogni momento», dice Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia. Ogni forza politica ha la possibilità, in base alla consistenza numerica, di portare all’attenzione dell’aula le proposte di legge che ritiene prioritarie. Debora Serracchiani guida il gruppo dei democratici a Montecitorio. «I codici per i poliziotti? Le dico che non lo so, non abbiamo parlato del calendario dei prossimi mesi».

Lei come capogruppo può prendersi un impegno su un tema così importante? «Sono alla guida di un gruppo, ne devo parlare con loro», risponde Serracchiani. Quando chi scrive le chiede personalmente un’opinione sulla proposta anti-violenze, dice: «Non abbiamo preso alcuna decisione e non ho visto quella proposta di legge, non le saprei dire». Lei è favorevole all’introduzione del codice identificativo? «Non mi faccia l’interrogatorio». Insistiamo facendo un confronto fra quello che è successo a Genova nel 2001 e a Santa Maria Capua Vetere nel 2020. «Non abbiamo affrontato la questione, quando affronteremo la questione ne riparliamo», conclude Serracchiani.

Davide Crippa, capogruppo del M5s, è ancora più sbrigativo. Quando gli diciamo che si tratta della questione dell’introduzione del codice identificativo risponde: «No, no, mi sto occupando di altri temi. Ora sono con delle persone».

Sono lontani i tempi, anno 2014, quando il fondatore Beppe Grillo proponeva e sosteneva convintamente il codice identificativo con tanto di post sul blog. In realtà la proposta viene presentata praticamente in ogni legislatura, ma l’esito finale è sempre lo stesso: nullo. È già realtà, invece, nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea. Nel 2012 il parlamento europeo aveva anche esortato gli stati membri a introdurre presto un codice identificativo per le forze dell’ordine.

Amnesty international Italia da anni ne chiede l’approvazione, soprattutto da quando, 20 anni fa a Genova, manifestanti, giornalisti e cittadini furono massacrati di botte da agenti delle forze dell’ordine.

Anche in quell’occasione vinse l’impunità, tanto che molti agenti violenti e i loro superiori vennero addirittura promossi. A chi obietta che la proposta mette in pericolo gli uomini e le donne che ogni giorno contrastano la criminalità organizzata la risposta è molto semplice: la legge potrebbe prevedere un’eccezione per le operazioni contro le mafie. Il codice identificativo esiste in quasi tutta Europa, in Italia no.

E quasi nessun partito, che teme la lobby dei sindacati delle forze dell’ordine, sembra avere voglia di introdurlo.

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